Aspetti tecnologici degli impianti di termodistruzione

Combustione e RSU

Il continuo aumento del potere calorifico dei rifiuti, che si è verificato negli ultimi decenni, ha reso sempre più interessante l’opzione del recupero energetico mediante termodistruzione. Il recupero dell’energia termica è dunque diventato non solo conveniente, bensì un elemento determinante sia per il bilancio economico dell’investimento dell’impianto  che per quello ambientale legato al risparmio di risorse combustibili tradizionali.

Principi generali della combustione

La generica reazione di combustione può essere espressa nella forma:

Combustibile + Ossidante + Accensione    à    Prodotti della combustione


I principali prodotti della combustione completa sono anidride carbonica (CO2), acqua (H2O) e biossido di zolfo (SO2). Essi costituiscono lo stadio finale del processo di ossidazione rappresentato dalla combustione, portato a completamento. In realtà non tutto il materiale reagente viene convertito nei prodotti finali. Parte di esso può  presentarsi incombusto nei gas in uscita, oppure essere solo parzialmente ossidato, ad esempio il carbonio a monossido di carbonio (CO) anziché ad anidride carbonica.

Al fine di assicurare la completa ossidazione del materiale attraverso la combustione, e limitare quindi la presenza nelle emissioni gassose di sostanze indesiderabili o inquinanti, occorre considerare attentamente alcuni parametri del processo. In particolare le cosiddette “tre T” della combustione: Temperatura, Tempo di residenza, Turbolenza. Esiste anche una “quarta” T, di importanza analoga alle altre, che indica il Tenore (cioè la concentrazione) di ossigeno.

 

 

 


I RSU come combustibile

La possibilità di generare energia in forma utile (calore o elettricità) dai rifiuti deriva dalla presenza, nei rifiuti stessi, di materiale combustibile dotato di potere calorifico elevato. In particolare si fa riferimento al Potere Calorifico Inferiore (PCI) del rifiuto, ovvero  alla quantità di calore sviluppata durante la combustione del materiale, sottraendo la quota relativa alla vaporizzazione dell’acqua in esso contenuta.

Attualmente il valore del PCI dei rifiuti sfiora i 12.000 kJ kg-1 (circa 3.000 kcal kg-1), e questo ha permesso di realizzare una maggiore integrazione tra il forno (ovvero il luogo dove vengono bruciati i rifiuti) e la caldaia (ovvero il luogo dove viene recuperato il calore contenuto nei fumi di combustione), a tutto vantaggio dell’efficienza di recupero del contenuto energetico dei rifiuti..

 

 

 Il recupero di energia dalla combustione dei RSU

Le caratteristiche chimico-fisiche dei RSU impongono processi di conversione ad hoc, sia per problemi tecnologici legati all’elevato tenore di umidità e inerti o alla corrosione degli elementi metallici, che per problemi ambientali concernenti la generazione di prodotti estremamente tossici. Tali processi possono seguire due filosofie: la trasformazione dei RSU in un combustibile intermedio attraverso tecnologie di pirolisi e gassificazione, o il recupero diretto di energia mediante combustione.

Recupero indiretto di energia: pirolisi e gassificazione

Il principale motivo di interesse dell’applicazione dei processi di pirolisi e gassificazione ai rifiuti solidi urbani e ai prodotti derivati è legato alla possibilità di trasformare materiali a base organica, disomogenei e difficili da stoccare, in prodotti con buone proprietà combustibili, caratteristiche qualitative costanti e maggior flessibilità di utilizzo.

Nel processo di pirolisi il rifiuto viene portato  a temperature comprese tra 300 °C e 500 °C in presenza di quantità limitate di aria. Il gas che si sviluppa presenta PCI compreso tra 2000 e 3000 kcal kg-1, mentre il residuo liquido è costituito da acqua, catrame e composti organici. È presente anche un residuo solido carbonioso, di volume e peso notevolmente ridotto, con PCI di poco superore a 5000 kcal kg-1.

La gassificazione può essere definita come una trasformazione chimica di un liquido o un solido a matrice carboniosa in un gas combustibile, in presenza di un agente gassificante (generalmente aria od ossigeno). Il materiale a matrice carboniosa può essere rappresentato dal residuo, solido e liquido, del processo di pirolisi.

Il recupero di energia nella combustione diretta

Il recupero di energia da combustione diretta sfrutta il calore prodotto dal processo di incenerimento del RSU, che può essere bruciato come:

·                    rifiuto tal quale;

·                    residuo da raccolta differenziata effettuata a monte (cioè dai cittadini);

·                    residuo da processi di selezione del rifiuto a valle della raccolta;

·                    combustibile da rifiuto (CDR). Il CDR è ottenuto dal rifiuto tal quale mediante una serie di processi fisici: vaglio, separazione metalli, macinazione, etc, che isolano la frazione a più elevato potere calorifico; le sue caratteristiche, regolate dal DM 5/2/98, sono in genere notevolmente differenti da quelle del rifiuto di partenza.

Il recupero di energia dalla combustione dei RSU può essere finalizzato alla produzione di sola elettricità o di una combinazione di elettricità e calore, definita cogenerazione.

Il recupero di elettricità dai rifiuti solidi è basato sul ciclo Rankine. A causa delle peculiarità del combustibile “rifiuto”, le prestazioni ed i parametri relativi al recupero energetico nei processi di termodistruzione di RSU assumono valori modesti, se confrontati con quelli ottenibili nelle centrali termoelettriche convenzionali. Il rendimento elettrico di tutto l’impianto, al netto degli autoconsumi, risulta infatti normalmente inferiore al 25%.

La produzione congiunta di calore ed elettricità (cogenerazione) si realizza sfruttando il calore prodotto dalla condensazione del vapore scaricato dalla turbina o spillando parte dello stesso dalla turbina.

Il recupero energetico consente di diminuire il ricorso ai combustibili tradizionali (tipicamente utilizzati nelle caldaie domestiche), con un ritorno positivo in termini di bilancio ambientale. Una interessante estensione riguarda la possibilità di utilizzare il vapore prodotto in un impianto termofrigorifero per la climatizzazione estiva-invernale.

Le tecnologie di combustione diretta dei RSU

Il forno è la parte dell’impianto in cui avviene la distruzione termica del rifiuto. Esso rappresenta il cuore del processo di termodistruzione ed è in grado di influenzare le prestazioni complessive del sistema, anche dal punto di vista della salvaguardia ambientale, attraverso la realizzazione di una combustione quanto più completa possibile. Le particolari caratteristiche del combustibile utilizzato e le molteplici esigenze ad esso correlate hanno richiesto lo sviluppo di diversi tipi di forni.

Forno a griglia

Rappresenta la tecnologia più diffusa e sperimentata nella combustione dei rifiuti solidi urbani.

I rifiuti vengono caricati in una tramoggia e distribuiti su una griglia, costituita daelementi mobili (barrotti, cilindri, etc.) che facilitano la combustione movimentando il materiale combustibile. Questa tecnologia è caratterizzata da una  elevata affidabilità pratica e da una notevole flessibilità, che ne permette l’applicazione per un ampio intervallo di potenzialità, compreso tra le 40 – 50 t g-1 degli impianti più piccoli e le 800 – 1000 t g-1 degli impianti di maggiori dimensioni.

Il controllo della combustione viene generalmente effettuato tramite l’analisi di temperatura, ossigeno e monossido di carbonio all’uscita dalla camera di combustione e/o di post – combustione.

 

Forno a tamburo rotante

I forni a tamburo rotante sono costituiti da un cilindro rotante inclinato sull’asse orizzontale per facilitare l’avanzamento dei rifiuti. Sono adatti a rifiuti con poteri calorifici costanti ed elevati e caratterizzati da una elevata flessibilità di utilizzo, che permette loro di trattare solidi, fanghi e liquidi, ma anche da una bassa efficienza di recupero termico.

Forno a letto fluido

I forni a letto fluido sono formati da un cilindro verticale al cui interno un letto di materiale inerte, costituito da sabbia e ceneri di combustione, è mantenuto in sospensione (fluidizzazione) da un flusso d’aria proveniente da una piastra perforata alla base del cilindro. Questi forni sono caratterizzati da un’elevata efficienza di combustione e da un basso tenore di incombusti nelle scorie. Tra gli aspetti problematici vi è la necessità di realizzare un pretrattamento spinto dei rifiuti al fine di ridurre la pezzatura e omogeneizzare le caratteristiche del materiale da trattare.

 

 

 

 

Tecnologie di controllo delle emissioni atmosferiche

La gamma delle emissioni atmosferiche prodotte dalla termodistruzione dei rifiuti è di norma più complessa e variegata rispetto ai normali processi di combustione che utilizzano combustibili fossili, a causa della forte eterogeneità  del materiale bruciato. Nelle emissioni, oltre alla presenza degli inquinanti caratteristici delle combustioni convenzionali, si trovano forme ossidate di sostanze organiche o inorganiche già presenti nei rifiuti e composti inorganici vaporizzati o mobilizzati per adsorbimento sul particolato emesso. In aggiunta a questi vanno poi considerati i processi di riformazione che, a partire da sostanze elementari e/o precursori, attraverso reazioni eterogenee a bassa temperatura che coinvolgono il particolato e i gas di combustione, originano microinquinanti organoclorurati (diossine, furani...).

In linea generale, si suole distinguere il complesso delle emissioni atmosferiche in due classi: i macroinquinanti, presenti in concentrazioni rilevanti (mg m-3), ed i microinquinanti che, pur se presenti a livelli molto più modesti (mg m-3 o ng m-3) possono costituire un rischio ambientale per la loro tossicità e persistenza. Alla prima categoria appartengono inquinanti tradizionali dei processi di combustione quali monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx), biossido di zolfo (SO2), gas acidi (HCl, HF) e materiale particolato (PM10). I microinquinanti si dividono invece in inorganici, costituiti essenzialmente da alcuni metalli pesanti (Pb, Cd, Hg), e organici, quali diossine (PCDD), furani (PCDF), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), PCB.

Il controllo preventivo delle emissioni atmosferiche

Il controllo preventivo delle emissioni, motivato dall’esigenza di limitare la produzione di inquinanti, si ottiene ottimizzando le caratteristiche costruttive dei forni e migliorando il processo di combustione. In particolare, si cerca di intervenire sia sui processi di formazione primaria in camera di combustione che sui processi di formazione secondaria a valle della stessa.

Per quanto riguarda i processi di formazione primaria, gli interventi sono tesi a garantire il completamento del processo d’ossidazione termica (combustione). Questo, come precedentemente discusso, richiede adeguati valori di temperatura, disponibilità di ossigeno, tempo di contatto e miscelazione.

I processi di formazione secondaria consistono in reazioni di riformazione a bassa temperatura (300 °C) che, a partire da precursori o sostanze elementari, originano composti organici tossici (PCDD, PCDF,..). Gli interventi prevedono l’inibizione dei potenziali catalizzatori del processo, uno stretto controllo della temperatura e modifiche progettuali per limitare le zone favorevoli alle reazioni.

Processi di depurazione delle emissioni atmosferiche

In questi ultimi anni, i sistemi di controllo degli inquinanti sono stati migliorati,  anche in considerazione dei limiti normativi sempre più restrittivi. Le configurazioni impiantistiche risultano particolarmente potenziate nei riguardi dei microinquinanti tossici e per alcuni macroinquinanti in precedenza poco considerati (SO2 ed NOx).

Controllo del particolato

Le operazioni di depolverazione rientrano in due diverse tipologie di processo: a secco e ad umido. Nei processi a secco si fa ricorso essenzialmente a precipitatori elettrostatici (PES) e a filtri a manica. Nei primi le particelle vengono introdotte in un campo elettrostatico che, una volta caricate, le devia verso una parete di raccolta. I filtri a manica sono borse cilindriche in tessuto (Goretex (R), Teflon,..) racchiuse in una struttura metallica entro cui viene immesso il flusso da trattare.

Nei processi a umido le particelle vengono raccolte ponendo a contatto il flusso da trattare con una superficie umida, tipicamente costituita da gocce d’acqua, che le separa dal gas. La tabella seguente mostra le caratteristiche dei diversi trattamenti.

Tabella 1  Caratteristiche operative dei diversi processi di rimozione polveri

Polveri

Trattamento

Vantaggi

Svantaggi

S

E

C

C

O

PES

Elevata resistenza

efficienza di rimozione < 99,0 %

Ridotti costi di gestione

Efficacia ridotta per particelle con bassa o alta resistività

Limitata perdita di carico

 

Filtro a maniche

efficienza di rimozione > 99,0 %

Ridotta resistenza

Favorisce i processi di rimozione dei microinquinanti

Maggiore perdita di carico

 

Rischio di infiammabilità

 

Maggiori costi di gestione

U

M

I

D

O

 

Scrubber Venturi

Elevata resistenza

Perdite di carico elevate

 

Presenza di spurghi liquidi da smaltire

 

Efficienze inferiori ai sistemi a secco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Controllo degli ossidi di azoto

I processi disponibili per la rimozione degli NOx fanno riferimento a tecnologie di riduzione non catalitica (SNCR) o catalitica (SCR). L’SNCR riduce gli NOx ad azoto molecolare (N2) e H2O tramite l’iniezione di ammoniaca o urea nella parte superiore della camera di combustione o in una posizione termicamente favorevole a valle. L’SCR, che rappresenta la migliore tecnologia disponibile per la riduzione degli NOx, comporta l’iniezione di ammoniaca nel gas di combustione a monte di un letto catalitico. In Tabella 2 si riportano brevemente le caratteristiche dei due processi.

Tabella 2  Caratteristiche dei processi SCR e SNCR

NOx

 

Trattamento

Vantaggi

Svantaggi

SNCR

(iniezione nella camera di combustione o a valle di essa di ammoniaca o urea)

Minor complessità impiantistica

Ridotta efficienza (< 70%)

Minor costo di installazione

Elevato consumo di reagente

Minor costo di gestione

Maggiori fughe di NH3

SCR (iniezione di ammoniaca a monte di un letto catalitico)

Elevata efficienza ( > 90%)

Maggior complessità impiantistica

Efficace anche per altri inquinanti

Necessità di preriscaldamento fumi   in ingresso

Ridotto consumo di reagente

 

Maggior costo di installazione

Maggior costo di gestione

Controllo dei gas acidi

Anche per il controllo degli ossidi di zolfo (SO2) e dei gas acidi (HCl e HF) sono disponibili processi del tipo a secco o ad umido. I processi a umido si basano sul trasferimento in fase liquida delle componenti inquinanti. Ciò si ottiene ponendo in contatto il gas con opportuni liquidi assorbenti, in installazioni in grado di ottimizzare il contatto stesso.

I processi a secco si basano sull’iniezione a secco di particelle alcaline (calce o bicarbonato di sodio) nella corrente gassosa. La rimozione di SO2 e dei gas acidi viene ottenuta tramite le reazioni di neutralizzazione che si sviluppano. La Tabella 3 mostra un sintetico riepilogo delle caratteristiche dei diversi processi finalizzati alla rimozione dei gas acidi.

Tabella 3  Caratteristiche applicative dei diversi processi di trattamento dei  gas acidi

Gas Acidi

Trattamento

Vantaggi

Svantaggi

 

 

 

 

S

E

C

C

O

Calce

(iniezione nella corrente gassosa)

Nessun refluo liquido

Efficienze ridotte rispetto ai sistemi ad umido

Minor costo del reagente

Richiede maggiori quantità di reagente

Semplicità impiantistica

 

Bicarbonato di sodio (iniezione nella corrente gassosa)

Nessun refluo liquido

Prestazioni inferiori ai sistemi ad umido

Efficienze paragonabili ai sistemi ad umido

Maggior costo del reagente

Richiede minori quantità di reagente

 

Minor produzione residui

 

Semplicità impiantistica

 

 

U

M

I

D

O

 

Acqua

+

Soda

(colonna di lavaggio)

Elevata efficienza

Maggiori costi di gestione rispetto ai sistemi a secco

Basso consumo reattivi (soda)

Presenza di reflui liquidi da smaltire

Tecnologia ampiamente consolidata

Effetto memoria delle diossine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Controllo dei microinquinanti

Nelle emissioni gassose, la maggior parte dei metalli pesanti, Cd e Pb in particolare, e i composti organici clorurati di maggior peso molecolare si presentano localizzati, per adsorbimento o condensazione, sulla superficie del particolato più fine. Il mercurio e gran parte dei composti organici a minor peso molecolare sono invece presenti in fase vapore.

La tecnologia più utilizzata negli impianti di termodistruzione, si basa sull’utilizzo di additivi adsorbenti, in particolare si fa riferimento al carbone attivo, caratterizzato da un ampio spettro di azione e da superiori capacità adsorbenti.

Notevole interesse suscita anche la conversione catalitica, che sfrutta gli stessi catalizzatori del sistema SCR ed è in grado di degradare chimicamente l’inquinante e non solo trasferirlo. Naturalmente tale tecnologia è attiva solo nei confronti degli inquinanti organici e non dei metalli.

Casella di testo: Tabella 4 Caratteristiche dei sistemi di rimozione dei microinquinanti

 

Microinquinanti

 

Trattamento

Vantaggi

Svantaggi

Processi a umido

(colonna di lavaggio)

Buona efficacia, soprattutto per il mercurio

Efficacia subordinata al trattamento di depolverazione

 

Effetti memoria per le diossine

 

Smaltimento reflui liquidi

Carboni attivi

Elevata efficienza

Risultati variabili con la temperatura

Basso costo di gestione

Necessità di stabilizzazione delle polveri residue

Semplicità impiantistica

 

Conversione catalitica

Degradazione chimica degli inquinanti e non semplice trasferimento

Costo di gestione elevato

Simultaneo controllo degli NOx

Costo di installazione elevato

Elevata efficienza

Bassa resistenza e vita media

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Configurazioni impiantistiche dei processi di depurazione

I singoli processi di depurazione visti precedentemente vengono combinati tra loro in vario modo, al fine di ottenere il rispetto dei limiti all’emissione.

La scelta tra le varie opzioni risulta fortemente influenzata non solo dai limiti emissivi, ma anche dalle caratteristiche attese dei rifiuti da trattare e dalle problematiche relative allo smaltimento dei residui del trattamento. In generale le varie tipologie impiantistiche dei sistemi di depurazione si dividono, a seconda dell’intervento o meno di fasi liquide, in:

·        Sistemi a secco. Sono costituiti generalmente da un reattore a secco per i gas acidi e da un sistema di depolverazione, in associazione all’utilizzo di carbone attivo per il controllo dei microinquinanti

·        Sistemi a semisecco. Simili ai precedenti, utilizzano un reagente in sospensione acquosa concentrata  nel reattore per il trattamento dei gas acidi. L’immissione di carbone attivo si effettua separatamente a valle del reagente e prima del sistema di depolverazione, costituito, tipicamente, da un filtro a maniche.

·        Sistemi ad umido nella loro configurazione di base sono composti da un sistema di depolverazione e seguito da un sistema di lavaggio fumi. Rispetto ai sistemi a secco presentano una configurazione più complessa, ma offrono efficienze molto elevate nella riduzione dei macroinquinanti, con concentrazioni in uscita difficilmente raggiungibili con altre tecnologie. La riduzione del particolato assume valori comparabili con quelli dei sistemi a secco.

·        Sistemi ibridi sono del tipo a multistadio e si basano sulla combinazione di semisecco e umido, con una configurazione che produce solo rifiuti solidi, ricircolando i residui liquidi provenienti dal sistema di lavaggio fumi.

A questi vanno aggiunti i sistemi per l’abbattimento degli ossidi di azoto (SNCR e SCR), ormai presenti in tutti i nuovi impianti di incenerimento rifiuti.

 La MTD per il controllo delle emissioni atmosferiche

La prima definizione di Miglior tecnologia disponibile (MTD) era presente nel DPCM dell’88. Oggi si fa riferimento alla definizione contenuta nell’art. 2 del Dlgs 372/99 in recepimento della direttiva 96/61/CE che a differenza del DPCM dell’88 al termine tecnologia predilige il termine tecnica, intendendo con questa l’insieme tecnologia-gestione.

Essa rappresenta la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio intesi a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso.

La miglior tecnologia assoluta, per quanto concerne i sistemi di abbattimento fumi relativi agli impianti di incenerimento (così come individuata nell’ambito del Piano di Risanamento della Qualità dell’Aria Della Regione Lombardia) è costituita da un sistema a secco con bicarbonato di sodio e carbone attivo, seguito da un trattamento di depolverazione mediante filtro a maniche e dall’ SCR per la riduzione degli ossidi di azoto.

Tale configurazione consente, oltre che una elevata efficienza di rimozione, un rendimento energetico globalmente superiore a quello degli impianti tradizionali dotati di sistemi ad umido o ibrido.

Caratteristiche e trattamento dei residui solidi prodotti

I residui solidi/liquidi di un moderno impianto di incenerimento di RSU possono essere distinti in tre diverse categorie:

·        scorie: rappresentano la frazione più rilevante dei residui e consistono in materiale, di varia pezzatura, raccolto sul fondo della camera di combustione. Sono composti dalle sostanze inerti originariamente presenti nel rifiuto, da residui metallici minerali e da un limitato contenuto di organici incombusti. Nel caso di camere di combustione a griglia, che rappresentano l’alternativa impiantistica più comune, la produzione di scorie si aggira tra il 15% e il 25% in peso del rifiuto alimentato.

·        ceneri volanti: quantitativamente comprese tra l’1% e il 3% in peso del rifiuto alimentato, sono costituite da particelle di piccole dimensioni formate quasi esclusivamente dai residui inorganici del processo di combustione. Vengono separate dal flusso gassoso e raccolte tramite i dispositivi di depolverazione (PES o filtri a tessuto).

·        residui derivanti dai sistemi di controllo dei gas acidi: dipendono in larga misura dalla tipologia di trattamento utilizzata. Negli impianti a secco e semisecco i residui sono costituiti essenzialmente dai sali prodotti dalle reazioni di neutralizzazione, dagli eccessi di reagente e dalle ceneri volanti captate nel depolveratore a valle del trattamento. Nelle configurazioni impiantistiche ad umido, il residuo prodotto è costituito dai fanghi prodotti dalla depurazione degli spurghi delle colonne di lavaggio (2 kg t-1 - 8 kg t-1 di rifiuto trattato).

I residui del processo di incenerimento dei RSU presentano una notevole concentrazione di sostanze inquinanti. In linea generale le ceneri volanti sono contraddistinte da una presenza elevata di metalli pesanti, mentre i residui del processo di assorbimento ad umido hanno concentrazioni elevate di mercurio e composti organici. 

Per lo smaltimento dei residui prodotti dai trattamenti di depurazione dei fumi vengono utilizzate due tecnologie a seconda dei risultati da conseguire: inertizzazione e detossificazione.

I processi di inertizzazione hanno lo scopo di innocuizzare i contaminanti legandoli chimicamente in una matrice cristallina, ad esempio di silicati, e limitare al contempo la superficie esposta a liquidi percolanti, minimizzando il rilascio in fase di discarica. Si riduce quindi la mobilità degli elementi tossici all’interno del residuo.

I trattamenti di detossificazione orientati alla riduzione della nocività dei residui tramite l’estrazione degli elementi tossici, con produzione di un solido altamente innocuizzato e di una frazione contenete i metalli separati potenzialmente riutilizzabile. Le tecnologie di questo tipo, in qualche caso ancora ad uno stadio di sviluppo sperimentale, comprendono sia processi di tipo chimico che di tipo termico.

Impianti di incenerimento in Lombardia

Attualmente, il settore dell’incenerimento dei rifiuti in Lombardia prevede, oltre a 9 impianti già presenti negli anni precedenti e adeguatisi, o in via di adeguamento, al DM 503/97, altri 7 impianti di nuova  realizzazione che entreranno gradualmente in esercizio prima del 2005. Per tale data, la potenzialità prevista si assesterà intorno a 2.700.000 t a-1, per arrivare a circa 2.900.000 t a-1 nel 2010 a seguito dell’aumento di potenzialità previsto per alcuni impianti già esistenti.

L’impianto di Trezzo sull’Adda

L’impianto di Trezzo sull’Adda ha una potenzialità autorizzata di 500 t giorno-1. Lo smaltimento avverrà attraverso due linee uguali di capacità pari a 250 t giorno-1. Entrambe utilizzano, per la combustione dei rifiuti, forni a griglia mobile raffreddata ad acqua. Questa soluzione tecnologica, innovativa nel panorama impiantistico nazionale, consente di ottimizzare il processo di combustione anche nel caso di rifiuti con potere calorifico piuttosto elevato, con probabili ritorni positivi in termini ambientali.

La linea di trattamento fumi è costituita da un sistema ibrido, formato da una torre evaporativa ad acqua seguita da un sistema a secco (reattore ad assorbimento e filtro a maniche) e da una colonna di lavaggio finale.

Il trattamento ad umido nella colonna di lavaggio prevede due stadi: acido per la rimozione di HCl, HF e ammoniaca, e neutro per l’assorbimento di SO2 attraverso l’additivazione di soda caustica.

I residui liquidi, neutralizzati e privati dell’ammoniaca in essi contenuta, vengono iniettati nella torre evaporativa.Questo sistema permette di ricircolare gli spurghi della torre di lavaggio, in linea con alcune tendenze normative che impongono l’assenza di scarichi liquidi dal trattamento complessivo delle emissioni. La figura in basso nella pagina seguente mostra uno schema sintetico della linea descritta.

 

La tabella seguente permette di confrontare le emissioni previste dell’impianto di Trezzo con quelle relative agli impianti di più recente costruzione della Lombardia. Il confronto è particolarmente interessante con l’impianto di Dalmine, dotato di una tecnologia di controllo delle emissioni in larga parte coincidente con la MTD.

Tabella 5 Confronto dei valori emissivi attesi o misurati nei nuovi negli impianti nuovi e vecchi in Lombardia

Inquinante

Impianti previsti

Impianti Nuovi già in funzione

Impianti vecchi

Trezzo

Dalmine

Bergamo

Corteolona

Rovato

Lecco

Lonato

Silla2

Parona

Busto

Cremona(2)

Brescia(2)

Sesto

Lecco(1)

Abbiateg.

Desio

Como(1)

Polveri

 mg m-3

1

1

1

1

1

3

1

0,3

3

1

0,9

0,2

1

13

3

3

7

HCl

mg m-3

5

3

5

5

10

5

5

10

7

5

5,2

13,6

5

8

10

5

5

CO

mg m-3

10

5

10

10

10

8

10

12

4

5

4,6

15,2

15

8

5

15

25

NOx

  mg m-3

100

40

120

150

200

150

150

150

120

100

148

76,2

150

305

200

150

275

SOx

  mg m-3

5

3

5

3

15

3

3

13

2

10

5,1

13,3

5

38

15

5

53

Pb

 mg m-3

0,01

0,1

0,1

0,1

0,1

0,01

0,1

0,01

0,1

0,1

0,1

0,1

0,01

0,25

0,1

0,1

0,03

Cd

mg m-3

0,01

0,01

0,01

0,01

0,01

0,1

0,01

0,01

0,002

0,01

0,01

0,01

0,01

0,024

0,01

0,01

0,02

Hg

mg m-3

0,1

0,01

0,01

0,01

0,01

0,01

0,01

0,1

0,01

0,01

0,02

0,01

0,1

0,036

0,01

0,01

0,62

TEQ

 ng m-3

0,1

0,01

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

10

0,1

0,1

4

(1) emissioni  rilevate prima dell’adeguamento ai limiti dell’Allegato 1 del DM 503/97, previsto entro il 2005       (2) emissioni  rilevate

Figura 1 Schema del sistema di trattamento fumi dell'impianto di Trezzo sull'Adda