Il recupero di energia dalla combustione dei RSU

Recupero indiretto di energia: pirolisi e gassificazione

Il recupero di energia nella combustione diretta

Il materiale combustibile

Il recupero di energia

Produzione di calore

Produzione di elettricità

Produzione di calore ed elettricità (cogenerazione)

 

Il recupero di energia dalla combustione dei RSU

Le caratteristiche chimico-fisiche dei RSU impongono processi di conversione ad hoc, sia per problemi tecnologici quali l’elevato tenore di umidità e inerti o la corrosione, che per problemi ambientali concernenti la generazione di prodotti estremamente tossici.

Tali processi possono seguire due filosofie: la trasformazione dei RSU in un combustibile intermedio, attraverso tecnologie di pirolisi e gassificazione, o il recupero di energia mediante combustione diretta.

Recupero indiretto di energia: pirolisi e gassificazione

La pirolisi è un processo di conversione che, a partire da materiale a base organica quale il rifiuto, genera sostanze solide, liquide o gassose aventi caratteristiche combustibili.

I rifiuti sono riscaldati a temperature comprese tra 300 °C e 500 °C in presenza di quantità estremamente limitate di aria. In tale processo il materiale gassifica, viene cioè distillata la frazione organica dando origine ad un gas che, non essendo ancora stato ossidato, possiede un potere calorifico piuttosto elevato.

Il gas che si sviluppa rappresenta dal 15% al 30% in peso del materiale organico originario, a seconda della temperatura del processo. Esso è formato essenzialmente da anidride carbonica, ossido di carbonio, idrogeno, metano e idrocarburi leggeri.

Il potere calorifico inferiore del gas sviluppato risulta generalmente compreso tra le 2.000 kcal m-3 e le 3.000 kcal m-3.

Il residuo liquido ottenuto per condensazione della fase vapore è assimilabile ad un olio combustibile, si aggira sul 50% - 60% in peso del materiale iniziale ed è costituito da acqua, catrame e composti organici.

Il residuo solido, di volume e peso notevolmente ridotto rispetto all’inizio, contiene componenti combustibili e incombustibili ed è costituito essenzialmente da carbonio, inerti e ceneri. Il suo PCI è compreso tra 5.000 kcal kg-1 e 6.000 kcal kg-1.

 

La gassificazione può essere definita come il processo di conversione termochimica di un liquido o un solido a matrice carboniosa in un gas combustibile, in presenza di un agente gassificante.

La conversione termochimica è una trasformazione chimica di una sostanza caratterizzata o dal consumo di energia o dalla produzione di energia sotto forma di calore.

Per matrice carboniosa si intende una sostanza la cui struttura chimica è basata su lunghe catene, più o meno ramificate, di atomi di carbonio, il che coincide praticamente con tutte le sostanze di origine organica.

Infine, l’agente gassificante è un composto gassoso in grado di intervenire sulle caratteristiche del gas prodotto, sia modificando gli equilibri in fase gassosa, sia favorendo la decomposizione della matrice solida.

Il gas combustibile prodotto contiene di norma CO2, CO, H2, CH4, H2O, tracce di idrocarburi di maggior peso molecolare e vari contaminanti tra i quali spicca il tar, ovvero l’olio bituminoso prodotto a seguito delle reazioni di pirolisi e presente in forma di vapore all’interno del gas.

Proprio per le problematiche connesse alla presenza di tali sostanze nel gas, gli impianti per il recupero energetico richiedono pretrattamenti finalizzati al miglioramento della qualità del combustibile realizzato. In particolare nei cicli combinati (turbina a gas – turbina a vapore) i rendimenti raggiungibili, limitati da questa necessità, si attestano su valori compresi tra il 33% e il 40%, in funzione della tecnologia e della dimensione dell’impianto. Per le comuni turbine a gas l’utilizzo del prodotto di gassificazione impone essenzialmente modifiche al bruciatore e al combustore (Della Rocca 2001).

Un ulteriore problema legato alla gassificazione è dato dalla necessità di impiegare un materiale abbastanza omogeneo nel reattore. Per tale ragione, nel caso dei RSU, tale tecnologia è generalmente applicata sul CDR, preferibilmente pellettizzato, anche se non mancano esperienze di gassificazioni condotte sui RSU tal quali.

Le migliori tecnologie in uso prevedono, in generale, l'applicazione di due tipi di gassificatori: gasogeno a letto fisso con griglia mobile e gasogeno a letto fluido (Zagaroli, De Stefanis 1996).

 

Tra le tecnologie che in questo campo hanno destato il maggior interesse, si cita il processo Thermoselect. Esso è basato sulla combinazione di una pirolisi a bassa temperatura dei rifiuti con una gassificazione ad alta temperatura condotta con ossigeno quale agente gassificante.

Le diverse fasi possono essere così riassunte:

·        pressatura del rifiuto in un canale orizzontale riscaldato dall’esterno, in assenza di aria, con conseguente essiccamento e trasformazione della frazione organica in un gas (gas di pirolisi) ed in un residuo carbonioso (coke di pirolisi);

·        gassificazione ad alta temperatura (2000 °C) con ossigeno del residuo carbonioso in un reattore verticale, con produzione di un gas combustibile costituito da H2, CO, H2O e CO2;

·        depurazione del gas combustibile (gas di sintesi) consistente in un raffreddamento con acqua a meno di 90 °C, in un lavaggio acido, in un lavaggio basico ed in un trattamento finale di adsorbimento su carbone attivo. Il raffreddamento rapido da 1200 °C (uscita reattore) a circa 90 °C, in assenza di ossigeno, impedisce che si riformino composti organoclorurati quali diossine e furani;

·        utilizzo del gas in un motore endotermico o in una turbina a gas in ciclo combinato per la produzione di energia elettrica.

 

L’alta temperatura a cui opera il reattore di gassificazione assicura la fusione dei metalli e delle scorie e la completa distruzione delle molecole organiche, in particolare di quelle organoclorurate (PCDD e PCDF). Le scorie sono ottenute in forma vetrosa e granulare mediante raffreddamento in un bagno d’acqua e, in quanto inerti, possono essere utilizzate come materiale di costruzione o di riempimento.

Il processo Thermoselect, dopo un lungo periodo di sperimentazione nell’impianto dimostrativo di Verbania, è stato realizzato su scala industriale (capacità 225.000 t anno-1 di rifiuti) a Karlsruhe (Germania) (Basaldella 2000).

 

Il principale motivo di interesse dell’applicazione dei processi di pirolisi e gassificazione ai rifiuti solidi e urbani e prodotti derivati è legato alla possibilità di trasformare materiali a base organica, disomogenei e difficili da stoccare, in prodotti con buone proprietà combustibili, caratteristiche qualitative costanti e maggior flessibilità di utilizzo (Ghezzi 1999). Tali potenzialità si scontrano però, allo stato attuale, con la presenza nel gas di componenti minori quali gas acidi (HCl, H2S), ammoniaca e idrocarburi pesanti condensabili, che rendono necessari trattamenti preliminari di depurazione. Questi trattamenti, di norma anche complessi, oltre ad un impatto negativo sulla gestione del processo diminuiscono il contenuto energetico del gas e in definitiva il suo interesse applicativo. Inoltre la scarsità di impianti operanti su scala reale limita lo sviluppo e la diffusione di questa tecnologia, così come una valutazione completa su di essa.

 

 

Il recupero di energia nella combustione diretta

Il materiale combustibile

Il recupero di energia da combustione diretta sfrutta il calore prodotto dal processo di incenerimento del RSU, che può essere bruciato:

·        come rifiuto tal quale;

·        previa raccolta differenziata a monte;

·        a seguito di processi di selezione a valle del rifiuto tal quale;

·        come Combustibile Da Rifiuti1 (CDR), ottenuto dal rifiuto tal quale mediante una serie di processi fisici: vaglio, separazione metalli, macinazione, etc, che isolano la frazione a più elevato potere calorifico. In seguito il prodotto viene confezionato in varie modalità (bricchette, pellets, fluff) a seconda dello specifico risultato che si vuole ottenere, ma in genere le sue caratteristiche si discostano considerevolmente dal materiale iniziale.

 

Per poter essere definito tale, il CDR deve possedere le caratteristiche specifiche definite dalla normativa (DM 5/2/98), tra cui si cita un valore minimo di PCI pari a 3600 kcal kg-1 e un’umidità e una quantità di ceneri massime pari rispettivamente al 25 e al 20%. Il rispetto di questi valori comporta necessariamente lo scarto del 60 – 70 % del materiale contenuto nel rifiuto tal quale, con rese di produzione del CDR che sono pertanto pari al 30 – 40 %.

 

La selezione a valle della raccolta comporta, invece, una serie di trattamenti meccanici, che consistono per lo più in vagliatura e deferrizzazione, finalizzati a migliorare le caratteristiche del rifiuto da incenerire, ma senza il vincolo del raggiungimento dei requisiti di legge, come per il CDR.

Nella vagliatura, il flusso entrante indifferenziato viene suddiviso in un sottovaglio ad alto contenuto di frazione organica che viene inviato al trattamento di biostabilizzazione aerobica, e in un sopravaglio dotato di un PCI elevato, con valori anche superiori a 3000 kcal kg-1. La composizione e le caratteristiche chimico-fisiche sono, in questo caso, simili al RSU di partenza, pur variando in funzione dell’apertura delle maglie del vaglio, della composizione merceologica e dell’assortimento dimensionale del rifiuto trattato (Masi et al. 2001). In particolare la Tabella 1 mostra le percentuali di separazione ponderale del sopravaglio in funzione del diametro di vagliatura utilizzato. Nel caso specifico lo strumento di separazione impiegato è stato un vaglio a tamburo rotante con velocità di rotazione pari a 8 giri min-1 (Masi et al. 2001).

Tabella 1  Percentuali di separazione ponderale del sopravaglio in funzione del diametro di vagliatura

Frazione

Diametro di vagliatura

40 mm

60 mm

80 mm

100 mm

120 mm

Carta

100%

100%

100%

70%

60%

Plastica

100%

100%

100%

70%

60%

Vetro e inerti

58,9%

44,4%

22%

10%

1%

Metalli

       100%

100%

100%

50%

35%

Tessili, legno, cuoio

50%

40%

30%

20%

10%

Organico

60%

45%

25%

10%

5%

          (fonte: Masi et al. 2001)

Il recupero di energia

Il recupero di energia dalla combustione dei RSU può essere effettuato attraverso la produzione di calore, di elettricità o di una combinazione di entrambi, definita cogenerazione.

 

Produzione di calore

Il rapporto tra il calore recuperato e il calore immesso nel sistema con i rifiuti è definito rendimento termico lordo del processo di incenerimento. Nel caso di un impianto destinato alla sola produzione di calore, esso costituisce il principale parametro di merito del sistema di recupero energetico. Se il calore è destinato ad alimentare una rete di teleriscaldamento, occorre considerare le perdite termiche della rete stessa, stimabili pari al 10 – 15% del calore immesso. Il rendimento termico netto del teleriscaldamento con RSU è generalmente pari al 70% – 75% (Consonni 1999)

Produzione di elettricità

Il recupero di elettricità dai rifiuti solidi è basato sul processo Rankine. Nel ciclo di Rankine (Figura 1) viene usato un fluido condensabile, raccolto nel serbatoio di alimentazione, che quasi sempre è acqua. La produzione di energia è basata sull’alternarsi tra due stati dell’acqua: liquido e vapore. Il liquido viene vaporizzato nella caldaia, in seguito l’energia potenziale del vapore viene trasformata in energia cinetica nei condotti che il vapore percorre prima di arrivare in turbina. In turbina il flusso di vapore investe le palette mobili mettendo in moto il rotore che, collegato ad un alternatore, produce energia elettrica. All’uscita della turbina il vapore entra nel condensatore dove parte del calore viene recuperato (es. riscaldamento fumi per il trattamento) e avviene il passaggio dalla fase vapore alla fase liquida.

Figura 1  Schema del ciclo Rankine utilizzato per il recupero energetico nei processi di termodistruzione di RSU (tratta da Nymann  1999)

 


Generalmente si usa aumentare la temperatura del vapore (surriscaldamento) attraverso scambi termici, successivi alla fase di evaporazione, con i fumi in caldaia. Questa fase si realizza nel passaggio del vapore nel surriscaldatore, posto in una zona della caldaia a valle dell’evaporatore, e serve ad aumentare il contenuto energetico potenziale sotto forma di energia termica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


In genere, le prestazioni ed i parametri relativi al recupero energetico nei processi di termodistruzione di RSU assumono valori modesti, specie se confrontati con quelli ottenibili nelle centrali termoelettriche convenzionali.

I rendimenti di produzione dell’energia elettrica risultano infatti limitati per:

·        La natura molto corrosiva dei fumi di combustione dei rifiuti, (dovuta alla presenza di gas acidi quali HCl), che impone di limitare la temperatura massima del vapore nel surriscaldatore a circa 400 °C (problemi di corrosione ad alta temperatura). Tale questione verrà meglio approfondita nelle pagine successive.

·        La necessità di limitare la frazione di liquido all’uscita della turbina e, soprattutto, la temperatura della parete dei tubi dell’evaporatore a contatto con i fumi della combustione, che richiede di non oltrepassare valori della pressione di evaporazione di 40 – 45 bar. L’adozione di parametri più spinti nelle condizioni di ammissione in turbina (50 – 60 bar, 420 – 450 °C) richiede materiali estremamente costosi, ed è giustificabile solo in impianti di grande taglia con elevata valorizzazione dell’energia prodotta.

·        La necessità di un trattamento spinto dei fumi di combustione, che condiziona il recupero di calore imponendo temperature tipiche di uscita dalla caldaia non minori di 180-200 °C. L’intervallo termico sfruttabile (e quindi il rendimento) sarebbe maggiore se si potessero ammettere minori temperature di uscita dei fumi di combustione dalla caldaia; purtroppo gli interventi finalizzati all’abbattimento degli inquinanti necessitano di una temperatura minima che normalmente si aggira sui 200 °C.

·        Le piccole taglie degli impianti italiani di vecchia generazione (raramente superiori a 10 MWe), che hanno un rendimento della turbina a vapore e degli ausiliari nettamente inferiore a quello dei grandi impianti. Inoltre al diminuire della taglia aumentano tutti i costi specifici quali: investimento per kW producibile, investimento per t/h smaltibile, etc. Questo induce alla moderazione dei parametri del ciclo al fine di ridurre i costi, causando un’ulteriore diminuzione del rendimento.

 

In ultima analisi, il rendimento del ciclo a vapore difficilmente supera il 30%, mentre il rendimento elettrico di tutto l’impianto, al netto degli autoconsumi, risulta normalmente inferiore al 25%.

 

Come accennato in precedenza, un aspetto particolarmente problematico e che incide sensibilmente sull’efficienza del ciclo di produzione di energia elettrica è quello rappresentato dai fenomeni di corrosione del surriscaldatore. La corrosione della superficie degli scambiatori di calore degli inceneritori è principalmente dovuta alla presenza di HCl nei fumi. Questi presentano due picchi di aggressività in corrispondenza di due differenti intervalli di temperatura (intorno a 100-150 °C e intorno a 600-700 °C).

Nelle caldaie per la produzione di vapore saturo o acqua surriscaldata (teleriscaldamento) il fenomeno della corrosione è pressoché assente, dato che le temperature di parete lato fumi non sono superiori a 300 °C. Viceversa, nelle caldaie che producono vapore surriscaldato si tende a raggiungere livelli di temperatura più alti al fine di ottenere buoni rendimenti in termini di conversione di energia elettrica, compatibilmente ad una vita accettabile del surriscaldatore. In questi ultimi la temperatura della parete a contatto con i fumi dipende sia dalla temperatura dei fumi che dalla temperatura del vapore. In particolare si possono avere differenze di temperatura tra la parete ed il vapore surriscaldato maggiori di 25-30 °C. Di conseguenza, con temperature di vapore surriscaldato maggiori di 350-380 °C è possibile raggiungere all’esterno dei condotti, a contatto con i fumi, valori di temperatura maggiori di 400 °C, entrando in una zona dove l’aggressione acida incrementa rapidamente.

Lavorando a temperature di surriscaldato prossime a 380 °C, si è constatata la necessità di sostituzione completa dei surriscaldatori ogni 6 mesi. Al contrario, con temperature dei fumi di 500 °C e temperature di parete di 350 °C, la vita utile dei surriscaldatori può salire fino a qualche anno (Bianchini 2001).

Produzione di calore ed elettricità (cogenerazione)

Il vapore scaricato dalla turbina deve essere, come detto, riportato allo stato liquido mediante un condensatore. Il calore di condensazione può essere, quindi, parzialmente recuperato laddove esistano degli utilizzi del vapore a temperature relativamente basse. Questo può essere il caso del teleriscaldamento, cioè della distribuzione di acqua calda ad uso di riscaldamento civile mediante un’opportuna rete interrata.

L’impianto, definito cogenerativo, presenta due soluzioni realizzative:

·        Ciclo a contropressione. Configurazione analoga a quella per sola produzione di potenza, con la differenza che il condensatore, alla temperatura che soddisfa l’utenza termica, è raffreddato dal fluido vettore del calore destinato al teleriscaldamento.

·        Ciclo a condensazione e spillamento. Il calore è fornito spillando vapore dalla turbina ad una pressione che è funzione della temperatura alla quale si richiede calore.

 

Il recupero energetico consente in questo modo di diminuire il ricorso ai combustibili tradizionali (tipicamente utilizzati nelle caldaie domestiche), con un ritorno positivo in termini di bilancio ambientale.

 

In Figura 2 è rappresentato il bilancio termico dell’impianto di termoutilizzazione di Brescia in assetto cogenerativo con massima produzione di calore (Consonni 2000).

 

Una interessante estensione riguarda la possibilità di ricorrere alla produzione combinata di energia termofrigorifera per bacini di utenza situati in aree meridionali a clima mediterraneo. Uno studio recente ha analizzato il possibile utilizzo del  vapore prodotto da un termoutilizzatore in un impianto termofrigorifero ad assorbimento di bromuro di litio per la climatizzazione estiva-invernale di un bacino di utenza di 150.000 abitanti (Campione et al. 2001).

 

 

Figura 2 Bilancio termico dell’impianto di termoutilizzazione di Brescia in assetto cogenerativo (Consonni 2000).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



1  In letteratura inglese il CDR è noto come Refuse Derived Fuel (RDF).