Inquinanti secondari e smog fotochimico

Vengono definiti inquinanti secondari quelle specie inquinanti che si formano a seguito di trasformazioni chimico-fisiche degli inquinanti primari (ovvero delle specie chimiche direttamente emesse in atmosfera dalle sorgenti) con la presenza dei componenti naturali dell’aria.

Fra i processi di formazione di inquinanti secondari, particolare importanza è assunta dalla serie di reazioni che avvengono fra gli ossidi di azoto e gli idrocarburi in presenza di luce solare. Questa catena di reazioni porta all’ossidazione del monossido di azoto (NO) a biossido di azoto (NO2), alla produzione di ozono (O3) ed all’ossidazione degli idrocarburi, con formazione di perossiacetilnitrato (PAN), formaldeide, acido nitrico, nitrati e nitroderivati in fase particellare, e centinaia di altre specie chimiche minori.

L’insieme dei prodotti di queste reazioni è una delle forme di inquinamento più dannose per l’ecosistema. È conosciuto anche come smog fotochimico dal momento che la formazione di inquinanti secondari è condizionata dalla presenza di radiazioni luminose nella regione dell’ultravioletto e poiché nel corso di tali episodi si verifica una riduzione della visibilità dovuta alla formazione di un grande numero di particelle di notevoli dimensioni.

Ozono (O3 )

Il presente paragrafo è stato tratto in molte sue parti da:

·        “Appunti sugli agenti nocivi”-Ozono 7.Serie Noxiae- Dipartimento Effetti Biologici e Sanitari degli Agenti Nocivi di Carmine Ciro Lombardi, Maria Balduzzi e Francesco Mauro 1994.

Di cui sono stati riportati in appendice bibliografica i riferimenti riportati dagli autori.

L’ozono (formula chimica O3), è un gas di colore azzurro pallido, di peso molecolare circa doppio rispetto a quello dell’aria, che assorbe fortemente la radiazione solare UV (ultravioletta) nella regione spettrale da 200 a 350nm e debolmente attorno a 600nm risultando, quindi, un formidabile schermo di protezione per le temibili radiazioni ultraviolette pericolose per le forme di vita del nostro pianeta.

Formazione e sorgenti principali

La quasi totalità della riserva planetaria di ozono si trova localizzata fra i 15 e i 50 Km di altezza, in una zona chiamata stratosfera, e in particolare nella fascia compresa fra i 20 e i 30 Km, detta appunto ozonosfera. La quantità di ozono presente nella stratosfera viene mantenuta costante mediante un equilibrio dinamico fra la reazione di formazione e quella di fotolisi. La formazione predomina ad un altitudine superiore ai 30 Km, dove la radiazione UV avente lunghezza d’onda inferiore ai 242nm dissocia l’ossigeno molecolare, largamente presente, in ossigeno atomico; questo si combina rapidamente con un’altra molecola di ossigeno a formare la molecola triatomica dell’ozono. L’effetto netto della reazione è la conversione di tre molecole di ossigeno in due molecole di ozono. Le molecole di ozono formate assorbono a loro volta la radiazione solare di lunghezza d’onda compresa fra 240 e 320nm, subendo fotolisi e dando luogo ad una molecola ed un atomo di ossigeno. Questo assorbimento della radiazione solare ha l’importantissimo effetto di schermare la terra da più del 90% delle radiazioni UV dannose per la vita sul nostro pianeta.

Nella troposfera, ed in particolare in vicinanza del suolo, le radiazioni ultraviolette ad elevata energia necessarie per la formazione di ozono dalla fotolisi dell’ossigeno sono quasi totalmente schermate, e quindi questo meccanismo di formazione non è attivo. I livelli troposferici naturali di ozono sarebbero dunque molto bassi e legati al minimo scambio esistente fra la stratosfera e la troposfera e all’attività fotochimica associata ai processi emissivi naturali. In condizioni naturali, cioè, l’ozono prodotto in modo fotochimico sarebbe quasi del tutto confinato in una zona non a diretto contatto con la vita.

Nella troposfera non vi sono emissioni significative di ozono prodotte dall’uomo e l’ozono presente è di origine secondaria, ovvero prodotto naturalmente da reazioni fotochimiche che coinvolgono direttamente l’ossigeno atmosferico, reazioni attualmente enormemente amplificate dagli inquinanti immessi direttamente in atmosfera dall’uomo (precursori). Nelle aree non inquinate del pianeta le concentrazioni di fondo osservate variano da circa 40 a 160µg/m3, dovuto essenzialmente al trasporto di ozono dall’alta troposfera, dalla stratosfera (20-40Km) e da produzione locale provocata da irraggiamento solare (scarsamente significativa al livello del mare ma più significativa in quota es. in montagna); quantitativi di ozono sensibilmente inferiori vengono prodotti dalle scariche atmosferiche durante i temporali.

L’alterazione dell’equilibrio naturale avvenuta nel corso degli ultimi decenni ha provocato l’attivazione di fenomeni fotochimici di notevole entità in prossimità del suolo, con produzione di quantità rimarchevoli di ozono; la concentrazione di fondo di O3 è infatti più che raddoppiata nell’ultimo secolo e, nelle aree urbanizzate ed industrializzate è aumentata dell’1-2% annuo nel corso dell’ultimo decennio. In particolare, in condizioni di smog fotochimico i livelli di ozono possono raggiungere concentrazioni molto elevate (150-200ppb) e quindi questa specie deve essere considerata non solo un inquinante della troposfera, ma anche un pericolo per la salute e per l’ambiente.

Nelle aree popolate del pianeta interessate dalla presenza di inquinanti primari di origine umana il principale meccanismo di produzione dell’ozono è costituito dal processo chimico-fisico che da origine allo smog fotochimico.

Tali fenomeni si presentano generalmente nelle aree urbane interessate da intenso traffico di autoveicoli e nelle regioni intensamente industrializzate, specie con alta intensità di industrie petrolchimiche. Esistono anche casi di inquinamento fotochimico in aree rurali a causa del trasporto dei venti degli inquinanti dovuto dalle aree metropolitane e dalle zone ad alta industrializzazione. Pertanto l’inquinamento da ozono non esplica i suoi potenziali pericoli solo all’interno di zone ad elevato inquinamento ma può essere responsabile di problemi anche in zone potenzialmente non interessate direttamente dall’inquinamento atmosferico.

Per smog fotochimica, come già detto, si intendono i prodotti ottenuti dalle svariate reazioni possibili tra ozono, ossidi di azoto e VOC (composti organici volatili, tra cui gli idrocarburi provenienti dalle benzine) innescate dalla radiazione solare di cui l’ozono rappresenta oltre che il precursore anche il principale tracciante.

Reazioni in atmosfera

L’ozono si forma per reazione tra l’ossigeno molecolare O2 e l’ossigeno atomico radicale. Quest’ultimo viene prodotto a partire da una serie di reazioni che coinvolgono gli ossidi di azoto:

NO2 + hn   -> NO + O×

O2 + O× ----> O3

dove hn rappresenta un onda elettromagnetica nella zona dell’ultravioletto (radiazione solare).

Esplicitando meglio quanto sopra riportato, il biossido di azoto, prodotto in maniera diretta nelle combustioni o per ossidazione successiva del monossido, in presenza di radiazione ultravioletta, si riduce a monossido e libera ossigeno radicalico, precursore dell’ozono.

La quantità di ozono che si produce per unità di tempo è quindi proporzionale all’irraggiamento solare (massima produzione nelle ore centrali delle giornate estive) e alla quantità di biossido di azoto presente.

Come corollario a ciò appare evidente che, essendo gli ossidi di azoto inquinanti primari, maggiore è l’inquinamento riscontrabile in una certa area, maggiore è la produzione di ozono.

L’ozono, a sua volta, viene distrutto in presenza di monossido di azoto e genera ossigeno molecolare, provocando nuovamente la formazione di biossido di azoto e ripristinando la situazione di partenza:

NO + O3 ----> NO2 +O2

Questa reazione è favorita quanto maggiore è la concentrazione di monossido di azoto e quindi la probabilità di incontro tra le due molecole.

Infatti bisogna considerare che, mentre il radicale O×, estremamente instabile e reattivo, non ha difficoltà a incontrare una molecola di ossigeno (presente al 21% sull’aria secca), l’ozono, presente in quantità dell’ordine di µg/mc, deve combinarsi con un’altra molecola che ha concentrazioni analoghe.

Volendo in qualche modo quantificare numericamente questi rapporti, si può considerare che, in un certo volume di aria, per non più di 3 molecole di biossido di azoto siano presenti circa una molecola di idrocarburi, da 1 a 4 molecole di ozono, da 1 a 4 di monossido di azoto, 10 milioni di molecole di ossigeno e 40 milioni di molecole di azoto.

E’ evidente pertanto che uno sbilanciamento nei rapporti tra biossido e monossido di azoto a favore del primo provoca automaticamente un accumulo di ozono.

Ad influenzare negativamente questo sostanziale equilibrio formazione/distruzione di ozono intervengono gli idrocarburi aerodispersi.

Per capire il meccanismo di azione di questi idrocarburi, occorre precisare che, se consideriamo soltanto la potenzialità dell’ozono come ossidante, tutte le sostanze organiche presenti nell’atmosfera dovrebbero essere trasformate in anidride carbonica, acqua e ossidi vari, con consumo netto di ozono. Purtroppo l’ozono, ideale per ossidare alcuni tipi di sostanze, quali il monossido di azoto, alcune molecole organiche odorigene, etc., non reagisce di fatto, per ragioni connesse alla sua struttura, con la maggior parte degli idrocarburi. E’ infatti del tutto irrisoria la reattività nei confronti di idrocarburi alifatici saturi e di idrocarburi aromatici e di altre specie quali le aldeidi, mentre gli idrocarburi alifatici monoinsaturi vengono ossidati solo parzialmente ad aldeidi.

Sono invece estremamente reattivi ai radicali, prodotti principalmente dalla dissociazione del biossido di azoto, provocando una serie di reazioni a catena con formazione di una molteplicità di prodotti tra cui le aldeidi, i perossidi, i PAN.

Il passaggio fondamentale affinché l’atmosfera si possa arricchire di ozono e di altre specie fotossidanti (ovvero di specie chimiche ossidanti formate mediante reazioni chimiche che avvengono solo in presenza di luce) è costituito dalla formazione di NO2 attraverso vie alternative, che non implicano la rimozione di ozono. L’identificazione delle di vie di formazione di NO2 costituisce quindi la chiave di volta per la comprensione dei processi fotochimici ossidativi.

La principale via alternativa per la formazione di NO2 è descritta di seguito:

i radicali ossidrile (OH) attaccano le molecole di idrocarburi volatili (RH) dalla cui degradazione e dalla loro successiva reazione con l’ossigeno atmosferico si formano i radicali radicali liberi perossido (RO2).

RH + OH× ----> R× + H2O

R× + O2 ----> ROO×

Nella forma di radicale perossido, gli idrocarburi reagiscono con il monossido di azoto provocando la formazione del biossido e sbilanciando quindi il rapporto tra i due.

ROO× + NO ----> RO× + NO2

I processi che generano i radicali ossidrile (OH) costituiscono quindi i processi fondamentali per l’avvio dei processi di inquinamento fotochimico. La loro produzione è anche essa fondamentalmente di tipo fotochimico, ed i principali precursori sono l’acido nitroso, la formaldeide e lo stesso ozono:

O3 +hn --> O2 + O

aldeidi + O --> RCO + OH×

O + H2O --> 2OH×

HNO2 + hn --> NO + OH×

Il ruolo di questa specie nei processi di inquinamento fotochimico ossidativo è quindi di primaria importanza. La concentrazione di ozono in atmosfere inquinante può variare da qualche ppb a 200-250ppb. La concentrazione di fondo di questo inquinante varia invece, alle nostre latitudini, fra i 30 ed i 70 ppb, a seconda del periodo dell’anno.

L’ozono, dunque, non è solo il prodotto quantitativamente più importante dei processi di inquinamento fotochimico, ma è anche parte del “combustibile” che attiva il processo.

Lo stesso vale, in misura diversa, per l’acido nitroso e la formaldeide, che sono precursori di radicali OH ma che hanno a loro volta una via di formazione essenzialmente secondaria a partire da specie coinvolte nei processi fotochimici (biossido di azoto per l’acido nitroso e idrocarburi e radicali oppure ozono per la formaldeide). Queste osservazioni permettono di comprendere per quale motivo gli episodi acuti di smog fotochimico spesso persistano, con intensità crescente, per più giorni consecutivi.

La descrizione del complesso fenomeno di formazione dello smog fotochimico si avvale dunque di modelli teorici che descrivono le principali reazioni coinvolte e gli stati di equilibrio conseguenti più o meno complessi la cui completezza non ne riesce a spiegare tutti gli aspetti coinvolti.

La genesi di un evento di smog fotochimico consta quindi di diverse fasi, che possono essere così schematizzate:

1.      un’atmosfera ricca di inquinanti primari, quali ossidi di azoto e idrocarburi volatili, nonché di precursori di radicali OH, come acido nitroso, formaldeide e ozono, viene investita dalla radiazione solare UV

2.      la radiazione UV provoca la fotolisi di acido nitroso, formaldeide ed ozono (in ordine crescente di livello di energia ultravioletta necessaria per la fotolisi), con produzione di radicali OH.

3.      i radicali OH attaccano varie specie di idrocarburi volatili reattivi, innescando una serie di reazioni a catena che portano alla degradazione delle molecole di idrocarburi e alla formazione di radicali perossido.

4.      i radicali RO2 ossidano il monossido di azoto, producendo NO2; ogni radicale partecipa a parecchi cicli di conversione di NO ad NO2 prima di estinguersi.

A questo punto si possono verificare le seguenti due reazioni:

a.      il biossido di azoto, per fotolisi, produce ozono, rigenerando una molecola di NO che torna ad essere disponibile per una nuova ossidazione;

b.      in alternativa, quando la concentrazione di NO diventa sufficientemente bassa il biossido di azoto reagisce con radicali OH, formando acido nitrico (HNO3), o con radicali perossiacetile formando i PAN (perossiacetilnitrati), prodotti terminali che esauriscono la catena di reazioni. In tal caso, l’NO2 viene rimosso dal ciclo fotochimico.

La reazione b. è favorita quando

-          i radicali formatisi per ossidazione di R× ed RCO convertono rapidamente NO in NO2, la concentrazione di NO2 sale mentre quella di NO scende;

-          la concentrazione di NO si avvicina a zero e il normale processo di eliminazione dell’ozono della reazione a. non interviene e aumenta la concentrazione do O3 nell’atmosfera che contribuisce a innescare il ciclo e a far aumentare le concentrazioni di inquinanti secondari prodotti dall’ossidazione di idrocarburi;

 

In particolare a causa della reazione tra NO e O3 si ha l’impossibilità della coesistenza in grandi concentrazioni di O3 e di NO. La concentrazione di O3, se presente, tende a ridursi in vicinanza di sorgenti di NO, come strade ad alta densità di traffico.

Nel ciclo giornaliero si verifica sperimentalmente che nelle ore che precedono l’alba, quando l’attività umana è al minimo, la concentrazione dei primari è stazionaria e la concentrazione dei secondari è ad un livello minimo. All’aumentare della attività umana inizia l’accumulo di NOx (in particolare NO) ed idrocarburi e quando l’intensità della radiazione UV diventa tale da generare quantità di O3 considerevoli, l’ossido di azoto viene da questo convertito in biossido punto in cui inizia l’aumento dell’ozono che raggiungerà il massimo a metà giornata. Mentre aumenta O3 diminuisce NO2 , calano gli idrocarburi e si accumulano aldeidi, chetoni e PAN, solo verso sera la luce non è più sufficiente per generare nuovo O3 per convertire tutto l’NO prodotto in NO2 che consumerà l’O3 accumulatosi durante la giornata facendone diminuire i livelli.

 

 

Figura 1 Schematica rappresentazione della formazione dell’ozono nella troposfera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Nei centri urbani, dove si verificano tutte le reazioni competitive sopra esposte, si ha, in primo luogo, un ostacolo alla formazione di ozono per sottrazione di radicali O×, in secondo luogo un contributo alla distruzione dell’ozono stesso ad opera di quegli idrocarburi con cui reagisce. Si può pertanto considerare, quale risultato globale di tutta questa serie di reazioni, l’aumento del biossido di azoto, associato anche a una diminuzione di idrocarburi e alla produzione di inquinanti secondari (smog fotochimico).

Fatto salvo il caso in cui il monossido di azoto, distruttore principale dell’ozono, scenda a livelli estremamente bassi rispetto al biossido, non si producono situazioni particolarmente critiche per quanto riguarda l’ozono.

Nelle zone poste sottovento ai centri urbani, invece, dove migrano gli inquinanti aerodispersi più “leggeri” , tra cui l’ozono e gli ossidi di azoto, ma non grandi quantità di idrocarburi e dove non si ha produzione rilevante di inquinanti primari, si verifica contemporaneamente la presenza di concentrazioni notevoli di biossido di azoto a fronte di quantità estremamente ridotte di monossido.

Si verifica perciò la presenza di quantità rilevanti del precursore dell’ozono in assenza del distruttore, il che porta a fenomeni di accumulo di questo inquinante, con l’instaurarsi di situazioni di rischio sia per la salute umana che per l’ambiente.

Effetti sulla salute e sull’ecosistema

Gli effetti potenziali di un aumento globale dell’ozono (O3), osservato in quest’ultimo secolo, e delle specie ossidanti di origine fotochimica non sono ancora ben definiti, ma hanno comunque forti implicazioni sia nei cambiamenti climatici che nella salute umana.

L’O3 rappresenta il maggior componente ossidante dello smog fotochimico. I principali effetti tossici di questa molecola sono riconducibili al suo alto potenziale ossidativo (potenziale redox di 2.07 V).

Gli effetti tossici dell’O3 sono osservabili a livello cellulare, a livello di organo bersaglio ed a livello di popolazione.

Effetti a livello cellulare

La tossicità dell’O3 è principalmente legata alla sua capacità di ossidare o perossidare biomolecole sia indirettamente attraverso la liberazione di specie reattive dell’ossigeno che direttamente.

La reazione dell’O3 con gli acidi grassi poliinsaturi dei lipidi di membrana porta alla formazione di perossidi lipidici relativamente stabili, che a loro volta possono dare origine a radicali alchilici ed alcossilici in grado di danneggiare i tessuti. L’O3 può inoltre ossidare direttamente i residui aminoacidici delle proteine, alterandone la funzione.

L’esposizione ad O3 di animali da esperimento ha mostrato una pletora di effetti che includono cambiamenti nel metabolismo di proteine cardiache, aumentata perossidazione di tessuto cardiaco e cerebrale, difetti nella desaturazione della ossiemoglobina nei capillari della pelle ( Folinsbee et al. , 1992; Berlett et al., 1996).

Effetti a livello di organo bersaglio

L’O3 viene assorbito nelle tre principali regioni dell’apparato respiratorio (extratoracica, tracheobronchiale, polmonare) sia negli animali da esperimento che negli uomini, ma i danni a livello del distretto polmonare potrebbero essere più rilevanti, in considerazione del possibile sviluppo di malattie croniche.

Esposizioni a breve termine inducono numerose risposte transienti come una riduzione della funzione ventilatoria ed un aumento della permeabilità di membrana dell’epitelio delle vie aeree. I processi infiammatori delle vie respiratorie iniziano immediatamente dopo un’esposizione pari o inferiore a 0.1 ppm di O3 e persistono per almeno 18 ore.  Oltre ad un aumento nel numero dei neutrofili, sono stati rilevati elevati livelli di fibronectina, coinvolta nei processi di riparo cellulare e chemotattica per i fibroblasti polmonari, ed elevati livelli di interleuchina-6 importante nella induzione delle risposte infiammatorie (Miller , 1995; Bromberg and Koren, 1995;  van Bree et al., 1995; Foster et al., 1996).

Effetti a livello di popolazione

Gli effetti acuti dovuti ad esposizioni a breve termine sono rappresentati generalmente da cambiamenti reversibili sia delle vie aeree superiori che della regione alveolare polmonare. Questi cambiamenti includono riduzioni delle funzioni respiratorie, aumento di reattività delle vie aeree, infiammazione alveolare e danni alle cellule epiteliari polmonari (Ostro, 1993).

L’analisi di 6 studi riguardanti l’effetto di concentrazioni ambientali di O3 sulle capacità respiratorie di bambini ha riportato una diminuzione significativa delle loro funzioni polmonari in presenza di un valore medio di 78 ppb di O3 (Kinney et al., 1996).

Sono state osservate correlazioni significative tra l’esposizione ad O3 e i tassi di ospedalizzazione per affezioni respiratorie.  La maggior parte degli autori, attualmente esclude che gli asmatici siano più suscettibili all’esposizione ad O3 (Balmes, 1993), anche se tuttavia sottogruppi di popolazione con una spiccata sensibilità all’O3 sono stati riconosciuti (Devlin, 1993). Tali gruppi ipersensibili non sono associabili né ad asmatici, né a fumatori, né a soggetti anziani.

Picchi di O3 sono stati associati ad un aumento di mortalità . Nella città di Filadelfia, é stata riportata una correlazione positiva tra l’esposizione ad O3 nel periodo estivo ed un aumento del 15% del rischio di mortalità. Una simile relazione è stata osservata anche nella città di Barcellona (Sunyer et al., 1996).

Gli effetti dell’esposizione ad O3 sono complicati dalla presenza di altri inquinanti atmosferici che possono agire sinergicamente.

Le informazioni relative agli effetti cronici sulla popolazione umana dell’esposizione ad O3 sono scarse e ben lungi dall’essere esaurienti. Non è ancora stato chiarito se le alterazioni polmonari conseguenti brevi esposizioni ad O3 possano tradursi in malattie croniche in seguito a prolungate esposizioni ad O3 nel corso della vita (Ostro, 1993).

Esposizioni ripetute sembrano causare una progressiva diminuzione della funzione polmonare e delle risposte infiammatorie, un fenomeno generalmente chiamato adattamento all’O3. Anche gli effetti infiammatori dell’O3 sembrano andare incontro a fenomeni di adattamento. Questo potrebbe forse in parte spiegare i modesti cambiamenti strutturali e funzionali indotti da esposizione cronica in modelli animali sperimentali.

E’ evidente che molti aspetti rimangono ancora da chiarire circa gli effetti dell’O3 sulla salute umana, come per esempio la precisa identificazione di sottogruppi ipersensibili all’O3, il profilo dell’intero spettro di effetti acuti, la potenziale sinergia tra infezioni virali ed esposizione ad O3, la natura dell’adattamento all’O3 e non ultimo il possibile legame tra effetti acuti ed effetti cronici.

Tabella 1 -  Valori indicativi degli effetti dell’O3 sull’uomo

Principali effetti sull’uomo

Conc. Troposferica Media

presenza avvertibile

0.05

ppm

40 a 160 µg/m3

secchezza delle fauci

0.1

ppm

mancanza di coordinazione (2h di esposiz.)

1-3

ppm

edema polmonare (2h di esposiz.)

9

ppm

Effetti sull’ecosistema

Per quanto riguarda la vegetazione, l’effetto ossidante della molecola si esplica nell’inibizione della fotosintesi e del trasporto delle sostanze nutrienti dalle radici alle foglie e nell’accelerazione del l’invecchiamento.

Sulle piante gli effetti dell’ozono sono segnalati da macchie o piccoli punti di necrosi cellulare sulla superficie delle foglie o da bruciature a livello dei germogli. Pare altresì che più la pianta sia ricca di zuccheri e più sia resistente all’ozono fattore che influisce notevolmente nella determinazione del valore soglia di tossicità.

L’ozono provoca inoltre danni ai materiali ed ai monumenti, causando un depauperamento del patrimonio culturale ed artistico, nonchè ingenti perdite economiche. Tra gli effetti dell’ozono troposferico sull’ecosistema bisogna anche annoverare il suo contributo all’effetto serra, dovuto alla capacità di questa molecola di assorbire nell’infrarosso (l’effetto di una molecola di ozono è pari a circa 2000 volte quello di una molecola di anidride carbonica).

Standards e normativa

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito nel 1987 due linee guida per l’O3, basate su 1 ora ed 8 ore di esposizione rispettivamente:

WHO-AQG (1 ora)= 150-200 µg/m3 (70-93 ppb)

WHO-AQG (8 ore)= 100-120 µg/m3 (47-56 ppb)

I valori minimi riferiti ai due intervalli di concentrazione corrispondono al livello di rischio, mentre i valori massimi al livello di effetto.

Un successivo aggiornamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1995) ha presentato per l’O3 un valore raccomandato di 120µg/m3 (56ppb) basato su 8 ore di esposizione.

Per quanto riguarda le grande aree urbane, in Italia sono stati definiti dai DM 12/11/92 e 25/11/94 dei limiti che indicano come livello di attenzione 180µgO3/m3  (84ppb) e come livello di allarme 360µgO3 /m3  (168 ppb) entrambi rilevati per 1 ora.

Perossi-Acetil-Nitrato (PAN) CH3(CO)-O-ONO2

Il perossiacetilnitrato (PAN) è un nitrocomposto organico che si forma in atmosfera in periodi di intensa attività ossidativa.

Il perossiacetinitrato si forma dalla reazione tra biossido di azoto e radicale perossiacetile, derivante a sua volta dall’ossidazione fotochimica di idrocarburi, aldeidi e chetoni, ovvero a partire da specie che a loro volta sono inquinanti secondari.

L’effetto del PAN sulla salute umana consiste essenzialmente nell’irritazione degli occhi; questa specie è inoltre responsabile di effetti fitotossici. Il perossiacetilnitrato è responsabile del blocco enzimatico della fotosintesi e insieme all’ozono, esaltando la respirazione dei vegetali, provoca un abnorme depauperamento delle loro sostanze nutritive.

A causa della sua via di formazione esclusivamente fotochimica, è possibile osservare concentrazioni atmosferiche elevate di PAN se e solo se sono attivi ed intensi in atmosfera i processi ossidativi. Per questa ragione il PAN viene considerato come un efficace indicatore di attività fotochimica. Il suo ridotto tempo di vita medio lo rende inoltre un utile indicatore di fenomeni di trasporto a breve distanza.

Acido Nitrico HNO3  

La principale sorgente dell’acido nitrico in atmosfera è la reazione del biossido d’azoto (NO2) con i radicali ossidrile (OH) durante gli eventi di smog fotochimico.

Gli effetti diretti dell’acido nitrico sono legati al carattere fortemente acido della molecola. La molecola di acido nitrico è molto stabile ma in atmosfera viene velocemente rimossa sia per reazione con ammoniaca (con formazione di particelle di nitrato d’ammonio, che causano diminuzione della visibilità) che per deposizione diretta sulle superfici e adsorbimento sulle gocce d’acqua; mediante quest’ultima via l’acido nitrico contribuisce ai processi di deposizione acida.

L’acido nitrico rappresenta uno dei composti terminali della catena fotochimica, nonché una importante via di rimozione del biossido di azoto. La presenza di acido nitrico in atmosfera costituisce un indice di attività fotochimica. La concentrazione atmosferica dell’acido nitrico varia da poche unità a 20-30 ppb.

Acido Nitroso HNO2

L’acido nitroso ha origine principalmente dalla reazione tra biossido d’azoto e acqua, che ha carattere eterogeneo (avviene sulle superfici).

Gli effetti sulla salute dell’acido nitroso sono attualmente poco noti; sembra accertato che l’acido nitroso sia uno dei precursori delle nitrosoammine cancerogene ed abbia effetti mutagenici.

L’acido nitroso è un composto chiave per il realizzarsi di fenomeni di smog fotochimico, in quanto la sua fotolisi costituisce la principale sorgente di radicali ossidrile (OH) in periodi di bassa intensità della radiazione solare (prime ore del mattino, periodi invernali), ovvero nei periodi nei quali la fotolisi delle altre specie che danno luogo a radicali OH (ozono e formaldeide) è ancora scarsamente efficace. La concentrazione atmosferica dell’acido nitroso varia da poche unità a 10-20 ppb.

Formaldeide HCHO

Le sorgenti atmosferiche di formaldeide, composto organico ossigenato volatile, sono costituite principalmente dall’ossidazione degli idrocarburi. Nelle aree urbane, ed in particolare nelle aree mediterranee, dove l’attività ossidativa dell’atmosfera è intensa, si riscontrano concentrazioni elevate di formaldeide che sono essenzialmente da attribuire a processi fotochimici.

La formaldeide è stata recentemente indicata come potenziale composto mutagenico.

La formaldeide in presenza di radiazione UV si dissocia a formare radicali OH, che innescano la catena fotochimica. Insieme all’ozono e all’acido nitroso la formaldeide è quindi un precursore dello smog fotochimico, oltre ad essere un prodotto di tali processi. La concentrazione atmosferica della formaldeide varia da poche unità a qualche decina di ppb.

Composti inorganici in fase particellare: NO3- (Nitrati)

In condizioni di inquinamento fotochimico si osserva in atmosfera la formazione di un gran numero di particelle di dimensioni tali da determinare una forte riduzione della visibilità (per questo motivo i processi fotochimici vengono spesso indicati come “smog”). In condizioni di smog fotochimico, le specie inorganiche più abbondanti in fase particellare sono i nitrati, formati a partire dall’acido nitrico (uno dei prodotti terminali della catena ossidativa) sia per reazione veloce con l’ammoniaca (formazione di nitrato d’ammonio) che per deposizione sul materiale particellare.

Concentrazioni elevate di composti inorganici in fase particellare possono causare all’uomo irritazione delle vie respiratorie.

I nitrati in fase particellare rappresentano uno dei composti terminali della catena fotochimica, nonché una delle specie coinvolte nei processi di deposizione acida.

Nitro-IPA: C16H9NO2 (2-Nitrofluorantene)

Gli idrocarburi policiclici aromatici nitrati (Nitro-IPA) sono composti organici caratterizzati dalla presenza di uno o più gruppi nitro (NO2) che sostituiscono gli idrogeni presenti nelle strutture degli idrocarburi policiclici aromatici. Le sorgenti atmosferiche dei Nitro-IPA sono le reazioni di combustione in presenza di ossidi di azoto e le reazioni radicaliche tra gli IPA e gli agenti nitranti prodotti durante i fenomeni di smog fotochimico.

I Nitro-IPA sono da tempo oggetto di studio per il loro impatto sulla salute dell’uomo. Fra i Nitro-IPA uno dei composti dotati di maggior potere mutageno è il 2-Nitrofluorantene, che si forma essenzialmente durante gli eventi di smog fotochimico.

La presenza in atmosfera dei Nitro-IPA costituisce un indice dei fenomeni di inquinamento fotochimico.