Composti Organici Volatili (COV) e Idrocarburi

Gli idrocarburi derivano principalmente da processi di combustione incompleti, per trasporto nel flusso aeriforme di prodotti presenti in origine, o derivanti da riarrangiamenti o frammentazioni molecolari, o da parziale ossidazione. A seconda dei loro punti di ebollizione e fusione e del loro stato di aggregazione, sono presenti in forma di gas, liquido o solido.

Origine

Con la dicitura composti organici volatili (COV o VOC - Volatile Organic Compounds), si intendono tutta quella serie di composti organici, prodotti dalle attività umane o naturali, che si trovano allo stato di gas alle condizioni di temperatura e pressione esistenti a livello troposferico.

Possono essere semplici idrocarburi saturi o insaturi a molecola lineare e non, composte esclusivamente da carbonio e idrogeno, o molecole più complesse in cui, tra i più diffusi, sono presenti atomi di azoto, cloro e ossigeno (chetoni, aldeidi, alcoli, acidi ed esteri). In particolare, di maggiore interesse in campo atmosferico, a causa del loro importante ruolo nella formazione di specie ossidanti, è la classe degli alcheni, fra cui l’isoprene e i monoterpeni, composti particolarmente reattivi emessi naturalmente dalle piante.

Su scala globale, le emissioni naturali ed antropogeniche dei COV sono dello stesso ordine di grandezza.

Questo è giustificabile con l’elevato numero di processi di decomposizione biologica della materia organica dalle biomasse, quantità più modeste sono invece attribuibili ad attività geotermiche, dai giacimenti fossili, di gas naturale, e di petrolio e nei processi di combustione.

Gli idrocarburi determinati da molti analizzatori sono chiamati, in maniera impropria “idrocarburi non metanici”. Tale termine è improprio e dovrebbe essere sostituito dal più corretto “idrocarburi eccetto il metano”.

L’esclusione del metano quale tracciante per l’inquinamento atmosferico deriva da una serie di considerazioni: in primo luogo il metano in natura è presente in quantità di gran lunga superiori agli altri idrocarburi. Normalmente si ha la presenza di 1.0-2.0 ppm di metano, che è la più semplice molecola organica esistente, e valori inferiori a 0.1 ppm per la totalità di tutti gli altri idrocarburi più complessi. Per questa ragione, di fatto, renderebbe poco significativa la determinazione di quest’ultimi; il metano si forma in tutti i processi di fermentazione anaerobica e può quindi derivare, nei centri abitati dalle fosse settiche, in campagna dalle concimaie, nelle discariche a cielo aperto, etc.; infine il metano non è tossico e non partecipa, in quanto fotochimicamente inerte, ai cicli di reazioni radicaliche in cui sono coinvolti gli altri idrocarburi nei fenomeni di formazione dello smog fotochimico.

Piccole quantità di idrocarburi, diversi dal metano, possono svilupparsi anche in processi fermentativi da specie vegetali o da fenomeni di putrefazione (processi che hanno originato del resto tutti i combustibili fossili) ed avere quindi origine naturale.

Gli idrocarburi vengono in genere determinati come miscela totale a causa delle ridotte concentrazioni delle singole innumerevoli specie presenti.

Per quanto riguarda l’introduzione di composti organici da parte dell’uomo si può affermare che la fonte maggiore è sicuramente quella dovuta al traffico autoveicolare. Infatti mentre nei fumi di combustioni delle centrali termiche (combustione a pressione costante) il contributo all’inquinamento atmosferico in idrocarburi incombusti, o parzialmente combusti sotto forma di aldeidi o acidi organici è modesto, quello dovuto alla combustione per la motorizzazione risulta assai elevato (combustione a volume costante).

Un altro fattore di rilascio d’idrocarburi da processi di combustione è correlato alle caratteristiche del combustibile stesso. Mentre il metano brucia tendenzialmente in maniera completa, con l’aumento del peso molecolare degli idrocarburi e andando verso le miscele più dense (GPL--->benzina--->gasolio--->ATZ,BTZ), si ha maggiore probabilità di rilascio di incombusti, nonché maggiore formazione di prodotti di riarrangiamento o di ossidazione parziale.

Altri idrocarburi, variamente derivatizzati, sono dovuti alle emissioni di solventi ad uso industriale o di altri prodotti riconducibili a cicli produttivi. Le maggiori fonti sono derivanti dai processi di verniciatura, produzione di monomeri per l’industria delle materie plastiche e alle industrie collegate alla produzione e utilizzo dell’etilene, a livello civile non sono trascurabili i contributi derivanti dall’area tessile in cui gli alchilbenzeni sono utilizzati come oleanti di filatura ed immessi in atmosfera nei processi di asciugatura dei tessuti.

Essendo molto variegato il numero di possibili molecole organiche immesse in atmosfera è praticamente impossibile la descrizione e la conoscenza di tutti i processi in cui queste sono implicate. Certamente, oltre a problemi legati ad una tossicità intrinseca di alcune di queste specie il gruppo di reazioni in cui sono maggiormente implicate sono i processi fotochimica in cui gli idrocarburi assumono importanza in quanto interferiscono nel ciclo di formazione/distruzione dell’ozono nella troposfera (di questi effetti verrà trattato nel paragrafo relativo all’ozono). Anche come la produzione di un elevato numero di radicali liberi risulta determinante sia a livello del ciclo degli ossidi di azoto che per quello dell’ozono e come anzi siano direttamente correlate tutte queste reazioni.

Per la flora gli idrocarburi più nocivi sono soprattutto quelli difficilmente metabolizzabili che danno di conseguenza fenomeni di accumulo con i problemi connessi.

Tabella 11-  I più significativi inquinanti organici in atmosfera

Concentrazione indicativa in zone urbane

Conc. Troposferica Media

Metano

1.6 - 10

ppm

Totale sost. organiche

1.0 - 3.0 ppm

etano

0.05-0.50

ppm

Propano

0.05-0.40

ppm

n-butano, isobutano

0.1-0.75

ppm

n-pentano, isopentano

0.1-0.7

ppm

Etilene

0.012-0.25

ppm

Acetilene

0.015-0.25

ppm

Propilene

0.005-0.05

ppm

benzene, toluene,
etil-benzene, xilene

0.03-0.15

ppm

aromatici policiclici

0.01-0.2

ppm

 

L’etilene, per dare un esempio di un composto specifico, già con valori di circa 1 ppm da inibizione allo sviluppo, cambiamento di colore e in alcuni casi morte della vegetazione.

Alcuni idrocarburi sono dotati di elevata tossicità e sono pertanto oggetto di campagne di monitoraggio finalizzate. Tra questi sono da considerare in particolare gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e il benzene, presente come antidetonante nelle benzine. Un certo interesse ambientale assumono anche i clorofluorocarburi (CFC), inerti nella troposfera, ma estremamente reattivi nell’ozonosfera, dove contribuiscono in maniera determinante alla formazione del “buco dell’ozono”.

Benzene (C6H6)

Il presente paragrafo è stato tratto in molte sue parti da:

·        “Appunti sugli agenti nocivi”-BENZENE 4.Serie Noxiae- Dipartimento Effetti Biologici e Sanitari degli Agenti Nocivi di Raffaella Uccelli, Anna Giovanetti, Francesco Mauro 1993

·        “Rapporto tra morbilità, mortalità e inquinamento atmosferico” Piano Regionale della Qualità dell’Aria -Attività A 2- a cura di Dott. L. Airoldi Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri-Milano, 2000.

Di cui sono stati riportati in appendice bibliografica i riferimenti riportati dagli autori.

Il benzene (C6H6) è il composto aromatico più semplice essendo costituito da un unico anello a sei atomi di carbonio. E’ chiaro, incolore e dotato di un odore caratteristico che risulta piacevole a concentrazioni basse, sgradevole a concentrazioni elevate. Il limite per la percezione olfattiva è di 5 mg/m3 (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987). E’ scarsamente solubile in acqua, ma è miscibile con altri solventi organici come alcool, cloroformio, dietiletere, acido acetico e tetracloruro di carbonio (WHO, 1987). E’ abbastanza stabile anche se reagisce nella bassa atmosfera con i radicali OH., la reazione è piuttosto lenta e produce fenoli e aldeidi che sono facilmente rimossi dalle piogge (Atkinson, 1988). Può inoltre andare incontro a reazioni di addizione e sostituzione, con formazione di alogeni, nitrati, solfonati e alchilderivati. Può verificarsi anche la rottura dell’anello aromatico (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987).

origini

Il 6-8% circa del benzene prodotto o utilizzato si perde nell’atmosfera.  Il benzene si trova nel catrame di carbone e nella nafta del petrolio dai quali si prepara per usi commerciali. E’ un costituente della benzina e ne sono particolarmente ricche le benzine “verdi” che, essendo a basso contenuto di piombo, ne sfruttano le proprietà antidetonanti. La maggior parte (circa i 4/5) è dovuta alle emissioni di origine veicolare, mentre la rimanente parte deriva dalle emissioni di sorgenti fisse, principalmente da processi industriali. E’ stato calcolato che il benzene atmosferico di origine veicolare proviene per l’85% dalle emissioni degli scarichi dei motori degli autoveicoli, per il 14% da perdite dovute all’evaporazione e per l’1% da dispersione durante il rifornimento (CONCAWE 1992).

Data l’elevata pressione di vapore del benzene (100 mm Hg a 26°C), la sua pressione parziale nell’aria all’equilibrio è molto alta; ad esempio, nello spazio di testa di una benzina che ne conteneva il 2.3%, sono stati misurati circa 9000 µg/m3 di benzene (Howard & Durkin, 1974).

Il benzene è stato ampiamente utilizzato nell’industria, prima come solvente volatile e più tardi come materiale di partenza per la sintesi di altri composti chimici. Viene impiegato nelle industrie della gomma per le sue proprietà di dissolvere il lattice e di evaporare rapidamente (per costruire oggetti in gomma o ricoperti), nei processi di stampa ad alta velocità (è un solvente eccellente per l’inchiostro e asciuga rapidamente), nella produzione di vernici, plastica, esplosivi, pesticidi, cosmetici e prodotti farmaceutici (Andrews & Snyder, 1991).

Il benzene a differenza di altri COV è una molecola stabile e relativamente inerte e non ha un ruolo significativo nei processi di inquinamento secondario. Proprio per la sua stabilità e per la prevalente antropicità delle sue sorgenti questa specie può essere utilizzata come tracciante dell’andamento temporale degli inquinanti primari al livello del suolo. La concentrazione di benzene nelle aree urbane varia fra le poche unità e le poche decine di ppb.

Livelli osservati

Le concentrazioni di benzene misurate nell’aria oscillano tra 0.5 µg/m3 e 573 µg/m3. Nelle aree rurali sono stati misurati livelli medi di 1-5 µg/m3; nelle aree urbane di 10-100 µg/m3 (Lutz et al., 1991).

Negli ambienti confinati la concentrazione dipende dalla qualità dell’aria esterna e dalle specifiche fonti interne. Infatti, nei paesi dove non  c’è  stata la progressiva  sostituzione del benzene con altri solventi nei materiali per l’edilizia, nelle vernici, nei legnami, nelle colle e nei prodotti per la pulizia della casa, le concentrazioni interne possono essere maggiori di quelle esterne (Lutz et al., 1991). In assenza di specifiche fonti interne, a livelli esterni di 30 µg/m3, sono state rilevate concentrazioni medie nelle abitazioni pari a 20 µg/m3 (WHO, 1987).

Le concentrazioni dell’aria in prossimità delle stazioni di servizio, delle cisterne di benzina e delle industrie che producono e utilizzano il benzene, possono arrivare a parecchie centinaia di µg/m3 (WHO, 1987). Presso le stazioni di servizio, in particolare, sono state misurate concentrazioni fino a 10000 µg/m3, condizioni che implicano un rischio sanitario non trascurabile (Lutz et al., 1991). Le concentrazioni di benzene a cui sono risultati esposti gli addetti alla vendita del carburante come media delle 8 ore sono 60-1000 µg/m3 in Svezia, 90-2300 µg/m3 a Singapore (con campionamenti di 2 minuti che oscillavano tra 200 e 570000 µg/m3) e <30-7000 µg/m3 negli USA. Queste osservazioni indicano altresì che il 7.4% degli addetti alla distribuzione, il 5.6% dei meccanici, il 73.3% dei conducenti di autocisterne per il trasporto di benzina sono esposti ad una concentrazione media di benzene maggiore di 160 µg/m3 come media di 8 ore e che circa la metà dei conducenti di autocisterne è esposto a concentrazioni maggiori di 320 µg/m3 (Swee-Cheng Foo, 1991).

Il fumo di sigaretta contiene elevate concentrazioni di benzene e rappresenta una notevole fonte di esposizione per i fumatori. La dose di benzene assorbita oscilla fra 10 e 30 µg per sigaretta; ciò costituisce un carico addizionale giornaliero massimo di 600 µg per le persone che fumano 20 sigarette al giorno (WHO, 1987).

Effetti sulla salute umana

A causa della notevole volatilità del benzene, la principale via di esposizione per l’uomo è rappresentata dall’inalazione. Viene assorbito circa il 50% del benzene inalato. L’assunzione giornaliera dovuta all’inalazione è di circa 10 µg per ogni µg/m3 di benzene presente nell’aria (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987).

L’ingestione è comunque una fonte di esposizione non trascurabile. Il benzene è infatti presente nel cibo e nell’acqua. La contaminazione del cibo è riconducibile all’inquinamento dell’aria. Infatti, il benzene presente nell’aria, mediante le precipitazioni secche e umide, contamina i prodotti agricoli e, attraverso il trasferimento lungo la catena alimentare, anche le carni e tutti i prodotti di origine animale. Inoltre, poichè il benzene è un costituente normale dei sedimenti che contengono olii fossili, è inevitabile la contaminazione della falda idrica. L’assunzione giornaliera di benzene attraverso il cibo può raggiungere i 250 µg. Nell’acqua potabile sono stati misurati livelli pari a 0.1-0.3 µg/l; la concentrazione massima riportata è di 20 µg/l. Nella Tabella 12 sono indicati i contributi al carico corporeo del benzene derivanti dalle principali fonti di esposizione. I dati non tengono conto dell’escrezione del benzene assorbito (WHO, 1987; Lutz et al., 1991).

Tabella 12  - Stime dell’assunzione giornaliera di benzene attraverso le principali fonti di esposizione (WHO, 1987, modificato).

Cibo e bevande

(intervallo in µg)

Fonti inalatorie (intervallo in µg)

 

Ciboa

Acqua

Aria ambienteb

Fumo (sig./giornoc)

Intervallo approssimativo dell’assunzione totale da tutte le fonti (in µg)

100-250

1-5

30-300

(0)

0

130 – 550

 

 

(residenziale)

(20)

600

700 -1200

 

 

 

(40)

1200

1300-1800

a Assumendo un assorbimento completo.

b Assumendo un assorbimento del 50% e un volume respiratorio giornaliero di 20 m3.

c I numeri fra parentesi indicano il numero di sigarette se si assume un contributo di 30 µg/sigaretta.

 

Il benzene viene assorbito in piccole quantità anche attraverso la pelle, ad una velocità di circa 0.4 mg/cm2 all’ora (WHO, 1987). L’intossicazione sistemica per assorbimento cutaneo è impossibile, ma il contatto ripetuto può causare effetti locali quali eritema, desquamazione secca, papule vescicolari e, in caso di esposizioni prolungate, lesioni simili a bruciature di primo e secondo grado (Seinfeld, 1981).

La scarsa solubilità in acqua del benzene e l’elevata lipofilicità favoriscono la sua distribuzione ai tessuti ricchi di grasso come il tessuto adiposo ed il midollo. A causa della scarsa vascolarizzazione di questi tessuti, il tempo necessario al raggiungimento dell’equilibrio tra livelli presenti nell’aria e nel sangue è piuttosto lungo. Per questo motivo il monitoraggio del benzene nel sangue non può essere utilizzato come bioindicatore di esposizione (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987; Andrews & Snyder, 1991).

Il 30% circa del benzene ingerito o inalato viene eliminato come tale nelle esalazioni polmonari. L’eliminazione polmonare del benzene segue un andamento bifasico, indicativo di un modello a due compartimenti: uno con una cinetica più veloce con un tempo medio di dimezzamento di 2.5 ore, l’altro con un tempo di dimezzamento di 28 ore (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987; Andrews & Snyder, 1991).

La maggior parte del benzene assorbito viene metabolizzata essenzialmente nel fegato, dove avviene l’ossidazione del benzene con formazione dell’epossido instabile. Questo viene poi trasformato ulteriormente producendo numerosi metaboliti fra cui fenolo e, in minor misura, catecolo e idrochinone (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987; Andrews & Snyder, 1991).

Una altra via di eliminazione del benzene è quella urinaria. Nelle urine appaiono infatti i metaboliti del benzene coniugati con solfati, con acido glucuronico e con glutatione e l’acido muconico derivante dall’apertura dell’anello aromatico (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987; Andrews & Snyder, 1991).

Numerosi studi hanno dimostrato che i metaboliti del benzene possono legarsi covalentemente al DNA, all’RNA e alle proteine; ciò può spiegare le aberrazioni cromosomiche riscontrate nei linfociti e nel midollo di lavoratori esposti, l’aumento dei micronuclei e degli scambi fra cromatidi-fratelli, il processo di iniziazione delle leucemie, l’inibizione di numerosi enzimi, l’inibizione dell’assemblaggio delle fibre del fuso mitotico, lo squilibrio nell’attività mitocondriale rilevata nel fegato e nel midollo, l’inibizione dei poliribosomi epatici e quindi l’inibizione della replicazione cellulare (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987; Andrews & Snyder, 1991).

Gli effetti sanitari indotti dal benzene differiscono a seconda che l’esposizione sia acuta o cronica. Nell’intossicazione acuta gli effetti sono dovuti essenzialmente alla sua azione sul sistema nervoso centrale (SNC). Nella Tabella 13 sono riportati gli effetti sull’uomo connessi ad esposizione acuta sia per via orale che inalatoria. Tali esposizioni si sono verificate in caso di incidenti, di esposizioni occupazionali o in ambienti confinati dove veniva usato il benzene. A concentrazioni moderate i sintomi sono: stordimento, eccitazione e pallore, seguiti da rossore, debolezza, mal di testa, respiro affannoso, senso di costrizione al torace, sensazione di morte imminente. A concentrazioni più elevate i sintomi sono: eccitamento, euforia e ilarità, seguiti subito da stanchezza, fatica e sonnolenza. Se la vittima non viene trattata a questo stadio, si determina l’arresto respiratorio, spesso associato a contrazioni muscolari e convulsioni, e quindi la morte (Sandmeyer, 1981; Andrews & Snyder, 1991; Swee-Cheng Foo, 1991).

Gli effetti principali imputabili all’esposizione cronica al benzene sono, oltre a quelli a carico del SNC, quelli a carico dell’emopoiesi e l’induzione di leucemia (Sandmeyer, 1981; Andrews & Snyder, 1991; Swee-Cheng Fo, 1991). Alcuni sintomi comprendono mal di testa, stordimento, fatica, anoressia, dispnea, disturbi della vista e dell’udito, vertigini, pallore e perdita di conoscenza (Sandmeyer, 1981; Swee-Cheng Fo, 1991).

I disordini ematici conseguenti all’esposizione cronica del benzene sono essenzialmente dovuti all’azione tossica esercitata sul midollo osseo in quanto organo emopoietico. Si verifica infatti una diminuzione progressiva di ciascuno degli elementi circolanti del sangue: eritrociti, leucociti e piastrine. Sembra che l’inibizione indotta dal benzene sul midollo sia un fenomeno dipendente sia dalla concentrazione che dalla durata dell’esposizione e che il danno sia a carico delle cellule staminali pluripotenti o dei primi precursori degli eritrociti e dei leucociti (Sandmeyer, 1981; WHO, 1987; Andrews & Snyder, 1991).

Tabella 13- Esposizione acuta dell’uomo al benzene (Sandmeyer, 1981, modificato).

Esposizione

Dose o concentrazione

Effetti, segni o sintomi

Orale

9-30 g

Barcollamento, vomito,sonnolenza, annebbiamento, pulsazioni rapide, perdita  di  coscienza,  delirio, morte

Inalazione

5 mg/m3

Soglia olfattiva

 

80 mg/m3 (8 ore)

Nessun  effetto.  Rilevabile nel sangue

 

160-480 mg/m3 (6 ore)

Mal di testa, fiacchezza, stanchezza

 

1600 mg/m3 (1 ora)

Mal di testa

 

4800 mg/m3 (1 ora)

Sintomi di malattia

 

9600 mg/m3 (30 min)

Può essere tollerata

 

24000 mg/m3 (1 ora)

Segni di tossicità in 30-60 minuti

 

61000-64000 mg/m3

Può essere fatale (5-10 min)

 

Generalmente, possono essere diagnosticati tre stadi. Inizialmente, possono manifestarsi difetti nella coagulazione del sangue dovuti ad alterazioni funzionali, morfologiche e quantitative delle piastrine (trombocitosi), come pure una generale diminuzione del numero di tutte le componenti del sangue (pancitopenia e anemia anaplastica). Se diagnosticati e trattati, gli effetti a questo stadio sono facilmente reversibili. Ad uno stadio più avanzato il midollo diviene prima iperplastico e poi ipoplastico, viene disturbato il metabolismo del ferro e si verificano emorragie interne. A questo stadio la diagnosi e il trattamento dovrebbero essere immediati e sono da evitare tutte le ulteriori esposizioni al benzene. Se il soggetto esposto non viene trattato subito, si può entrare in una terza fase caratterizzata da aplasia midollare progressiva (Sandmeyer, 1981; Andrews & Snyder, 1991).

Sembra che numerosi fattori possano influire sulla sensibilità degli individui al benzene: stato nutrizionale, caratteristiche genetiche, risposta immunitaria e consumo di alcool e droghe. I giovani sono più vulnerabili (Sendmeyer, 1981).

Le vitamine del gruppo B (B4, B6 e B12) e la vitamina C sono utili nella profilassi e nel trattamento (Sandmeyer, 1981). E’ stato dimostrato che il benzene stesso, il toluene e l’etanolo possono modificare il metabolismo e la tossicità del benzene se gli animali vengono pretrattati con queste sostanze. Il toluene inibisce il metabolismo del benzene e ne abbassa la ematotossicità; l’etanolo la aumenta (WHO, 1987). Gli effetti del benzene e del piombo sembrano essere additivi per quanto riguarda l’inibizione della sintesi dell’eme (Sandmeyer, 1981).

Il benzene può attraversare la placenta ma non esistono dati conclusivi per quanto riguarda la tossicità sul feto e la teratogenicità (Sendmeyer, 1981; WHO, 1987).

Il benzene viene classificato dalla International Agency for Research on Cancer (IARC) come Gruppo 1, cui appartengono tutte quelle sostanze per le quali è stato accertato il potere carcinogeno nell’uomo. Nella letteratura sono infatti riportati un gran numero di casi di leucemia mieloblastica ed eritroblastica associati all’esposizione al benzene. Non può però essere esclusa la possibilità che in alcuni casi abbiano contribuito altri composti chimici (WHO, 1987).

L’effetto cancerogeno del benzene è stato osservato per esposizioni superiori a 20-25ppm (56-80 mg/m3); Nei topi e nei ratti è stata dimostrata la cancerogenicità del benzene non solo per quanto riguarda le leucemie, ma anche per altri organi. Non esistono però dati sperimentali sugli effetti carcinogeni per dosi inferiori a 32 mg/m3 (WHO, 1987).

Attualmente i metodi epidemiologici classici non sono in grado di evidenziare un aumento di rischio per concentrazioni inferiori a 1 ppm.

In generale i livelli di benzene misurati nelle aree urbane sono inferiori a 0.1 - 0.01 ppm, è quindi probabile che l’esposizione a basse dosi non comporti un aumento di rischio per la popolazione generale, tuttavia, le conoscenze attuali non permettono di escludere questa possibilità, dal momento che è stato evidenziato che esposizioni prolungate e ripetute a concentrazioni di 0.6 ppm possono portare a effetti minori come la riduzione dei globuli bianchi circolanti.

Standards e normativa

Poiché il benzene è un cancerogeno umano, non è possibile stabilire un limite di sicurezza e si considera che qualunque livello di esposizione possa determinare un rischio aggiuntivo di tumore.

Sono state effettuate varie stime del rischio carcinogeno del benzene per l’uomo utilizzando gli studi epidemiologici di popolazioni esposte (WHO, 1987). L’Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati Uniti ha riportato un rischio unitario (UR) associato con l’esposizione a 1 µg/m3 per la durata della vita (da 0 a 74 anni) pari a 8.1 casi su un milione, lo stato della California ha valutato un rischio aggiuntivo di 29 casi (WHO 1987; State of California 1991). Il World Health Organization (WHO/OMS) ha affermato che non può essere raccomandato un livello sicuro nell’aria in quanto il benzene è carcinogeno per l’uomo e non si conosce una concentrazione soglia priva di effetti. Ha inoltre riportato un UR per la durata della vita pari a 4 su un milione (WHO, 1987).

La legislazione italiana per quanto riguarda l’aria, il controllo del benzene avviene mediante il limite per gli idrocarburi totali, escluso il metano, la cui concentrazione massima non può superare i 200 µg/m3 come media di 3 ore (DPCM del 28/3/83). Tale limite viene però applicato solo nelle zone o nei periodi in cui si sono verificati superamenti del limite per l’ozono (200 µg/m3 come concentrazione media oraria da non raggiungere più di una volta al mese).

Il DM del 25/11/94 fissa come obiettivo di qualità a partire dal 1/1/99 il valore medio annuale di 10 µg/m3 di benzene.  Tale limite è 4 volte superiore a quello stabilito dall’OMS (2.5 µg/m3) (WHO 1987).

Anche per l’acqua il controllo per il benzene avviene attraverso la concentrazione massima ammissibile di idrocarburi disciolti o emulsionati e olii minerali, pari a 10 µg/l (DPR n° 236 del 24/5/88).

Gli idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e il Benzo(a)pirene (C20H12)

 

 

 

Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono composti organici la cui struttura è caratterizzata dalla fusione di due o più anelli aromatici e costituiscono una grande classe di composti prodotti durante la combustione incompleta di materiale organico e sono inquinanti ambientali sempre presenti in miscela nell’atmosfera dove si trovano per lo più adsorbiti sul particolato: benché essi vengano emessi in fase vapore, infatti, a causa della loro bassa tensione di vapore, condensano rapidamente e si adsorbono sulle particelle carboniose; data la stabilità della loro struttura risultano piuttosto inerti e la proporzione dei vari IPA dipende dalla sorgente di emissione e la loro concentrazione individuale tende ad essere più elevata in inverno che in estate (WHO, 1998). 

Fluorantene e pirene sono i composti più abbondanti nell’ambiente; benzo(a)pirene, benzo(a)antracene, benzo(b)fluorantene, benzo(k)fluorantene, indeno(1,2,3)pirene, dibenzo(a,h)antracene sono i più importanti dal punto tossicologico e sono conseguentemente i più studiati.

Gli idrocarburi policiclici aromatici possono derivare da sorgenti naturali (alghe, microrganismi, piante, incendi delle foreste) ma la principale sorgente atmosferica è di origine antropica ed è la combustione incompleta degli idrocarburi (lavorazione e la combustione del carbone e dei prodotti petroliferi). Altre fonti di natura antropica sono gli impianti di produzione di alluminio, ferro e acciaio, gli impianti di riscaldamento, il traffico autoveicolare, gli inceneritori e il fumo di tabacco.

Nelle aree urbane la fonte principale di idrocarburi policiclici aromatici è rappresentata dagli scarichi autoveicolari.

La concentrazione media di singoli IPA nelle aree urbane può variare notevolmente: per il benzo(a)pirene ad esempio sono stati misurati livelli compresi tra 0.01 a 30 ng/m3 (WHO, 1998), mentre in zone particolarmente inquinate, come ad esempio l’Alta Slesia in Polonia, la concentrazione di benzo(a)pirene misurata in 39 centrali di rilevamento era 15-120 ng/m3 con una valore massimo di 950 ng/m3 (Chorazy et al., 1994).

Gli IPA sono altamente liposolubili e attraversano velocemente le membrane lipoproteiche cellulari.  Il loro assorbimento può avvenire per inalazione, per ingestione e per via cutanea.  La velocità di questo processo attraverso i polmoni dipende dal tipo di composto e dalle dimensioni del particolato a cui sono legati.  Gli IPA adsorbiti sul particolato sono allontanati dai polmoni più lentamente di quelli liberi.  Gli studi sugli animali indicano che l’assorbimento attraverso il tratto grastroenterico è rapido e che esiste un circolo enteroepatico.  L’assorbimento percutaneo dipende dal composto considerato (WHO, 1998). 

Gli IPA assorbiti si distribuiscono rapidamente in tutti i tessuti e si accumulano di preferenza in quelli ad alto contenuto lipidico.

Gli studi sugli animali indicano che la tossicità acuta degli IPA è piuttosto bassa con LD50 in genere maggiori di 100 mg/kg di peso corporeo per somministrazioni endovenose o intraperitoneali e maggiori di 500 mg/kg per somministrazioni orali. 

Alcuni sono estremamente reattivi e in grado di legarsi al DNA, una tappa che può dare inizio al processo di cancerogenesi.

La maggior parte degli studi sperimentali è rivolta all’attività cancerogena di questi composti e quindi gli effetti a breve termine sono relativamente poco studiati.  Per esempio, il benzo(a)pirene induce mielotossicità, e il dibenzo(a,h)antracene causa alterazioni emolinfatiche, mentre l’anemia è un tipico effetto del naftalene (WHO, 1998)

L’attività cancerogena di alcuni IPA è ben documentata negli animali e il loro potere cancerogeno varia di almeno tre ordini di grandezza.  In generale la sede del tumore dipende dalla via di somministrazione, ma non è limitata al sito di somministrazione.  Ad esempio, sperimentalmente sono stati indotti tumori al polmone in seguito a somministrazione orale, endovenosa o intraperitoneale di benzo(a)pirene, mentre la somministrazione sottocutanea porta principalmente allo sviluppo di tumori locali (WHO, 1998).

Le teorie prevalenti per spiegare il meccanismo di cancerogenesi degli IPA prendono in considerazione l’attivazione metabolica a livello della ‘bay region’ e il meccanismo radicalico.  La prima teoria è basata sull’assunzione che i metaboliti reattivi che si legano al DNA sono i diolo epossidi (Jerina et al., 1976); la seconda ipotizza l’ossidazione metabolica con formazione di  cationi radicalici, potenti elettrofili che si legano al DNA (Cavalieri & Rogan, 1985).  Queste teorie sono state dimostrate sperimentalmente determinando la presenza degli specifici addotti al DNA, ma probabilmente una sola teoria non è sufficiente a spiegare il meccanismo d’azione degli IPA (Harvey, 1996).

Ci sono pochissime conoscenze sugli effetti dei singoli IPA sulla salute umana e in genere si riferiscono ad esposizioni dovute a particolari incidenti.  La maggior parte delle informazioni è stata ottenuta in seguito a esposizione a miscele di IPA, e sono per lo più confinate al potenziale cancerogeno di questi composti. 

E’ noto da almeno due secoli che l’esposizione umana a miscele complesse contenenti, tra l’altro anche IPA, come la fuliggine e il catrame determina un incremento di tumori della pelle e del polmone (IARC, 1987).  Diversi studi più recenti hanno dimostrato che il rischio di contrarre tumore del polmone in svariate categorie di lavoratori (addetti alle cokerie, fonderie, acciaierie) esposti a livelli di IPA molto elevati (fino a 1 mg/m3 di IPA totali, decine di µg/m3 di benzo(a)pirene) era significativamente più elevato che nella popolazione di controllo (WHO, 1998).  Anche se tutti i lavoratori erano esposti a molte sostanze cancerogene, è lecito attribuire l’aumentato rischio di tumore al polmone agli IPA.

Sulla base di circa 100 studi prospettici e retrospettivi condotti in 15 diversi paesi, è stato stabilito che il fumo di sigaretta è il fattore più importante nell’induzione del tumore del polmone nell’uomo (IARC, 1986).  Il fumo principale di sigaretta contiene diversi IPA, tra cui il benzo(a)pirene, presente in quantità di 20-40 ng/sigaretta (IARC, 1986) e ritenuto l’agente eziologico per il tumore del polmone.

Più difficile è la valutazione del rischio nella popolazione generale esposta a basse dosi di IPA attraverso l’inquinamento atmosferico, oltre che il fumo di sigaretta.  Tuttavia studi epidemiologici indicano che i residenti nelle aree urbane hanno un rischio più elevato di contrarre tumore al polmone rispetto agli abitanti di zone rurali (Cohen & Pope, 1995).

Standards di qualità dell’aria

Gli IPA sono stati i primi inquinanti atmosferici classificati come cancerogeni e tra questi, quelli costituiti da quattro o più anelli aromatici sono ritenuti i più pericolosi .

La legislazione italiana prescrive che nelle principali aree urbane siano determinate la concentrazione delle “polveri respirabili” (particelle con diametro aerodinamico inferiore a 10 µm) e la concentrazione in aria del solo Benz(a)Pirene (BaPy), che è il più potente cancerogeno tra gli idrocarburi policiclici aromatici non sostituiti, quantunque le specie appartenenti alla classe degli IPA classificate come possibili cancerogeni siano ben sette. Le norme vigenti sul territorio nazionale indicano per il benzo(a)pirene un valore limite di 1 ng/m3 (media giornaliera) (DM 25/11/94).