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Chiedersi quale sia l'importanza dei geni (intesi come tratti di DNA)
in Ecologia è un po' come chiedersi quale sia l'importanza del
progetto del motore in una macchina.
Il DNA qui è inteso come un ``progetto'' che determina la
struttura e il funzionamento degli organismi viventi che sono i
``motori'' fondamentali con cui funzionano le unità di studio
dell'Ecologia: le popolazioni e le comunità.
Una serie di domande analoghe può essere:
- È possibile imparare qualcosa sul funzionamento di popolazioni
e comunità imparando come funzionano i geni negli organismi?
- Qual è il ruolo della biodiversità nel funzionamento di
comunità e popolazioni?
- Qual è l'importanza della variabilità genetica nel funzionamento di
comunità e popolazioni?
- Quanta parte della variabilità nella risposta degli organismi
all'ambiente è spiegabile dalla variabilità genetica esistente
nelle popolazioni naturali?
- Come interagiscono geni e ambiente?
- Sarà possibile un giorno capire il funzionamento di
ecosistemi semplicemente conoscendo la sequenza del DNA di tutti gli
organismi presenti?
A tutte queste domande (tranne forse l'ultima) non è possibile dare
una risposta precisa, esauriente, basata su dati e non su opinioni.
Però di un fatto possiamo essere praticamente certi:
lo studio di come gli organismi si sono adattati all'ambiente
fornisce una chiave di lettura importante per capire
struttura e funzionamento di popolazioni e comunità.
La teoria darwiniana dell'evoluzione per selezione naturale è oggi
generalmente accettata ed è una (forse l'unica) teoria unificante
della biologia (ecologia compresa). Secondo Lewontin la teoria di
Darwin ha il pregio di spiegare due caratteristiche degli organismi
viventi apparentemente contraddittori:
- perfezione
- intesa come corrispondenza fra organismi e ambiente
in cui vivono e
- variazione
- intesa come cambiamento nel tempo e nello spazio.
La capacità degli organismi viventi di adattarsi continuamente al
mutare delle condizioni ambientali, a ``risolvere'' i continui problemi
legati all'esistenza, a modificare essi stessi l'ambiente
che li circonda, li rende unici.
Possiamo distinguere tre meccanismi di adattamento a seconda del livello
biologico interessato:
- Modificazioni fenotipiche individuali
- in risposta a variazioni
ambientali. Ne fanno parte
- l'adattamento fisiologico (adattamenti omeostatici che avvengono
in un periodo di tempo breve);
- l' acclimatazione;
- alcune cambiamenti morfologici non ereditari;
- alcuni adattamenti comportamentali non ereditari;
- Adattamenti evolutivi
- che modificano il pool genico delle
popolazioni e sono ereditari
- Modificazioni della struttura della comunità
- durante
la successione ecologica
Gli organismi modificano il loro fenotipo in risposta ai cambiamenti
ambientali. La separazione della componente genetica (ereditabile) e della
componente ambientale (non ereditabile) è una materia che da anni
occupa schiere di biologi genetisti e evoluzionisti.
Uno degli approcci più usati è quello di utilizzare le
informazioni ottenute attraverso un'analisi della varianza del tipo di
quelle che abbiamo già visto nelle lezioni precednti.
Il modello ``base'' che abbiamo già visto è quello:
yijz = Gi + Ej + Iij + eijz
dove
-
- rappresenta il fenotipo in una qualche unità di misura
dell'osservazione z-esima;
-
- rappresenta la componente genetica
del genotipo j-esimo e può essere a sua volta suddivisa in
ulteriori componenti genetiche (addiva, di dominanza, epistasi, ecc.).
-
- rappresenta la componente ambientale generale dovuta
all'ambiente j-esimo. Rappresenta l'effetto condiviso da tutti gli
individui localizzati in quel habitat.
-
- rappresenta secondo alcuni autori la variazione
microambientale o componente ambietale speciale
che agisce diversamente su ciascun individuo. Rappresenta la
deviazione fra il fenotipo atteso sulla base del genotipo dell'effetto
ambientale generale.
-
- rappresenta l'interazione genotipo
ambiente che
può venire stimata negli esperimenti fattoriali e deriva da un
comportamento ``non parallelo'' nella risposta dei genotipi
alle variazioni ambientali.
Se passiamo alle varianze la formula precedente cambia:
I ed e non sono correlate con la altre variabili,
ma G ed E possono esserlo in natura (o in
esperimenti non ben pianificati).
-
- si referisce alla covarianza
genotipo-ambiente. Questa componente diviene importante se i
genotipi non sono distribuiti a caso nell'ambiente, cioè se
specifici genotipi sono sono associati fisicamente ad un ambiente
(es: il genotipo i-esimo è significativamente più frequente
nell'ambiente j-esimo rispetto agli altri ambienti e agli altri genotipi).
La covarianza genotipo-ambiente, che non va confusa con l'interazione
genotipo ambiente, si può verificare tutte le volte che i
genotipi non sono casualmente distribuiti nello spazio per varie cause
come la limitata dispersione del polline o dei semi.
Comunque in un esperimento fattoriale ben condotto e ben bilanciato il
termine
si annulla.
Esaminiamo più da vicino l'interazione genotipo ambiente. Utile a questo proposito è il la norma di
reazione che indica la funzione che lega il fenotipo medio di un
genotipo al cambiamento ambientale.
Nella figura precedente le linee uniscono genotipi uguali (cloni o
famiglie) in ambienti diversi.
Nel caso (1) non c'è interazione, nel caso (2) l'interazione
genotipo ambiente è dovuta ad un cambiamento di scala, nel
caso (3) cambia il rango dei genotipi ma non la scala, mentre nel
caso (4) cambiano scala e rango dei genotipi.
Definiamo come plasticità fenotipica la capacità di
cambiare il proprio fenotipo al cambiare dell'ambiente.
Se assumiamo che il carattere fenotipico studiato sia proporzionale
alla fitness del genotipo possiamo evidenziare alcune casi interessanti
dal punto di vista evoluzionistico-ecologico.
Domande riguardanti la figura precedente:
- 1.
- Qual è il genotipo più plastico?
- 2.
- Qual è il genotipo meno plastico?
- 3.
- Quali sono i genotipi più premiati dalla selezione
nell'ambiente A e nell'ambiente B?
- 4.
- Quali sono i genotipi più specialisti (adattati ad un solo
tipo di ambiente)?
- 5.
- Quali sono i genotipi più generalisti (adattati a molti tipi
di ambienti)?
- 6.
- In quale/i delle quattro possibili situazioni la variabilità
nell'ambiente può aiutare a mantenere maggiore diversità
genetica (varietà di genotipi)?
- 7.
- In quale/i casi sarà selezionato un unico genotipo e quale?
Esistono molti lavori sperimentali in letteratura e diverse review
sull argomento interazione genotipo times ambiente e la stragrande
maggioranza ha trovato un'interazione significativa. Molti meno lavori
sono stati pubblicati in cui veniva studiato il fenomeno in natura.
Comunque vi sono forti indicazioni che l'interazione genotipo ambiente sia un fenomeno molto comune.
Un'approccio intelligente allo studio dell'interazione è quello in
cui i tipi di ambiente non vengono ``classificati'' o definiti dallo
sperimentatore ma vengono ``misurati'' dagli stessi organismi studiati.
Cioè invece che definire l'ambiente A e B come
nella figura precedente, si usa la media delle performances di tutti i
genotipi in quel sito.
Simboli diversi indicano genotipi diversi. Il vantaggio di
quest'approccio è che l'ambiente viene misurato e classificato in un
unico numero che riassume tutte quelle variabili ambientali che sono
importanti per l'organismo e che possono essere trascurate.
L'interazione viene così scomposta ulteriormente
in due componenti: una legata alla regressione, la cui pendenza da una
misura quantititva della capacità di risposta del genotipo
al cambiamento dell'ambiente. Una pendenza maggiore di 1 indica una
risposta più grande della media dei genotipi, una pendenza fra 0 e 1
indica una risposta più debole della media, mentre pendenze negative
indicano una tendenza del genotipo a rispondere in modo contrario agli
altri. La seconda componente rimane una componente non spiegata
dell'interazione.
Esistono procedure statistiche appropriate per svincolarsi dalla
non-indipendenza delle medie sui genotipi e sull'ambiente.
Normalmente si trovano correlazioni positive fra la performance media
del genotipo e la pendenza della regressione: cioè genotipi che
mediamente hanno performances più alte tendono ad avere una risposta
(variazione) maggiore. Questo avrebbe un significato evolutivo
importante se il tratto studiato fosse determinante per la fitness:
la selezione favorirebbe chi ha una norma di reazione più pendente,
cioè i genotipi dotati di una maggiore plasticità fenotipica.
Alcuni sostengono che la forte selezione genetica per le performances
attuata sulle specie agricole ha in realtà selezionato genotipi che
sono molto produttivi, ma in ambienti molto specifici. Qualora questi
super-genotipi venissero immessi in un ambiente meno favorevole,
le loro performances si abbasserebbero ben al di sotto
della media di un genotipo qualunque.
Il sistema del fitocromo delle piante è uno dei sistemi che
conferiscono plasticità di ``comportamento'' più conosciuti nelle
piante. Infatti si conoscono abbastanza bene i meccanismi molecolari e
si conoscono abbastanza bene il vantaggio evolutivo-ecologico di
questa plasticità. E` uno degli esempi più belli di come un
meccanismo determinato geneticamente conferisca delle capacità
alla pianta da avere dei risvolti anche nell'ecologia delle
popolazioni e delle comunità.
Alcune notizie riguardo al fitocromo:
- È una proteina composta da due subunità identiche e ciasuna
subunità (apoproteina) è legata covalentemente ad un
cromoforo in grado di assorbire la luce
- È particolarmente abbondante nelle piante eziolate dove è
presente in forma Pr. Se è colpito da luce rossa si
converte in forma Pfr, che può assorbire la luce nel
rosso lontano e convertirsi di nuovo nella forma Pr
- Nelle piantine l'allungamento dell'ipocotile è fortemente
inibito dalla luce-bianca, che comprende la luce nel rosso
lontano e il fitocromo è uno degli agenti più importanti nel
determinare questa funzione.
- La forma biologicamente attiva è la forma Pfr. Viene
riscontrato sopratturro nelle cellule meristematiche.
- In Arabidopsis sono stati identificati cinque
geni (PHYA, PHYB, PHYC, PHYD e PHYE che però
codificherebbero per sole due ``classi'' di fitocromi (Tipo
I e Tipo II. PHYA sarebbe il solo Tipo
I, tutti gli altri sarebbero di Tipo II
- Il gene per fitocromo A (PHYA) è attivo alla
al buio, ma la sua espressione è fortemente inibita dalla luce nel
rosso vicino dal prodotto del suo stesso gene. Inoltre la forma
PfrA è altamente instabile e viene distrutta molto
velocemente.
- Il fitocromo è coinvolto in due importanti funzioni
eco-fisiologiche: la sindrome da evitamento
dell'ombreggiamento (di cui parleremo nella seconda parte) e nei
ritmi circadiani presenti in alcune piante.
- Le risposte indotte dal fitocromo alla luce sono divise in tre
categorie basate sulla quantità di luce richiesta:
- Very Low Fluence Response
- indotte da quantità molto basse
di luce nel rosso vicino ( anche 0.1 nmol m-2) che
convertirebbero solo lo 0.02% del fitocromo a
Pfr. Producono risposten non reversibili quali
l'allungamento del coleoptive e inibire l'allungamento del
mesocotile.
- Low Fluence Response
- includono molte delle risposte indotte
dal rapporto Rosso Vicino/Rosso Lontano come la
germinazione dei semi, la regolazione dei movimenti delle
foglie. Queste risposte devono raggiungere quantità minima di
luce (intensità
tempo di irradiazione) minimi (da
1mol m-2 a 1000 mol m-2. Questi effetti sono
per lo più reversibili.
- High Irradiance Response
- sono proporzionali alla radianza e
saturano ad una quantià di luce 1000 volte maggiore dei LFR e
sono irreversibili. Consistono in diversi effetti tra cui
ricordiamo: sintesi di antocianine, inibizione dell'allungamento
dell'ipocotile nella lattuga, inibizione della fioritura in alcune
piante.
- È stato descritto che l'HIR indotti da luce nel rosso lontano
declina rapidamente quando la pianta iniza a diventare verde e
questo risposta è stata associata alla scomparsa di PHYA
- Il fitocromo è sensibile al rapporto R/FR che
permette alla pianta di ``sentire'' la presenza di vicini e quindi
di possibili competitori prima che la competizione effettivamente
avvenga. La pianta è così in grado di attuare una straegia di
evitamento dell'ombreggiamento.
- Il fitocromo A e B sono potenzialmente antagonistici e mentre le
modificazioni delle crescita fotomorfogenesi indotte dal
fitocromo B sono immediate, comprensibili e svolgono un ruolo molto
importante per la pianta, le modificazioni indotte dal fitocromo A
sarebbero meno importanti, più transitorie e legate solo alla fase
di de-eziolazione. Inoltre phyA sarebbe necessario nella
percezione della luce nel rosso-lontano.
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Stefano Leonardi
2000-08-28