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Biodiversità

Cos'è e come si misura la biodiversità

Nel suo bellissimo libro ``La diversità della vita'' Edward O. Wilson dice: ``Ogni nazione ha tre patrimoni diversi: quello materiale, quello culturale e quello biologico''. Dice anche che abbiamo ben presente i primi due perchè ce ne occupiamo regolarmente nella vita quotidiana, ma del terzo ce ne occupiamo infinitamente meno.

Tutti noi abbiamo un'idea di cosa sia la biodiversità, sappiamo che la diversità del pianeta è in pericolo, sappiamo che le attività umane spesso contribuiscono a questo calo. Ma per noi rimane qualcosa di ``esotico'', infatti la associamo spesso alle foreste tropicali, la consideriamo spesso come qualcosa di cui noi non ci possiamo occupare in quanto troppo distante da noi.

In quanto biologi però siamo chiamati a difendere la biodiversità in generale e quella della regione dove viviamo in particolare. Il miglior modo per conservare la biodiversità è quello di conoscerla, valutarla nelle sue componenti e imparare a conoscere i processi che la influenzano e cercare di prevedere le conseguenze di una eventuale riduzione. Dal punto di vista scientifico la biodiversità è un concetto che ha interessato gli ecologi da relativamente molto tempo. Sulla biodiversità si è scritto e parlato moltissimo, specialmente sul ruolo della biodiversità nel funzionamento dell'ecosistema. La mia impressione è che a volte si sia anche ecceduto, in quanto i dati raccolti usati per testare i moltissimi modelli, nonostante l'importanza dell'argomento, non sono poi tantissimi.

Certamente la complessità dell'argomento è disarmante in quanto i fattori e i processi che entrano in gioco sono tantissimi e quindi fare della buona scienza risulta estremamente difficile. L'elenco che segue dei fattori che influenzano o sono influenzati dalla diversità è certamente parziale:

Su Nature dell'11 maggio 2000 c'è uno speciale sulla biodiversità, che affronta molti degli aspetti importanti sulla biodiversità ed è scritto da alcuni degli ecologi più importanti che si occupano di questa materia.

Uno degli articoli dello speciale di Nature inizia così: ``... we cannot even begin to look at how biodiversity is distributed, or how fast is disappearing, unless we can put units on it.''



La diversità quindi, come qualsiasi altra grandezza usata nella scienza, deve essere quantificata e misurata. Già qui insorgono i primi problemi:

La biodiversità può essere misurata a livello di:

Della variabilià all'interno e fra popolazioni abbiamo parlato in molte delle lezioni precedenti. Qui forse vale la pena di ricordare, con le parole di Ricklefs che la variabilità genetica ``fuels the engine of evolution'', ed è quindi una componente importantissima della biodiversità totale.



La diversità all'interno e fra comunità forse è il livello più studiato dagli ecologi e più o meno c'è l'accordo di valutare la diversità in termini di specie, anche se i lavori scientifici che usano entità tassonomiche diverse (come le famiglie o i generi) non mancano. Certamente però c'è più accordo fra gli ecologi su concetto di specie, rispetto al concetto di famiglia o genere.

In pratica non vengono mai contate tutte le specie di una comunità ma spesso si fa riferimento a gruppi di specie (es: uccelli, mammiferi, piante vascolari, zooplancton, fitoplancton, ecc).

Due delle componenti più importanti della diversità sono:

1.
il numero di specie
2.
l'equiripartizione (eveness)

Voi certamente vi ricordate dal corso di Ecologia 1 che gli ecologi usano calcolare gli indici di diversità. Vi ricorderete anche quali sono quelli più usati.



Inoltre si possono distinguere tre diverse componenti della diversità:

alfa ($\alpha$)
diversità o diversità (locale) che tiene conto del numero di specie in un area piccola più o meno uniforme
gamma ($\gamma$)
diversità o o diversità (regionale) che tiene conto delle specie in una regione, definita come un'are che non includa barriere significative alla dispersione degli organismi
beta ($\beta$)
diversità o (turnover) che descrive come varia la diversità da un habitat ad un altro. Formalmente si ricava dalle due precedenti: $\beta =\frac{\gamma}{\alpha}$, dove la diversità $\alpha$ è la media delle diversita $\alpha$ fra i vari habitat.
La seguente figura dovrebbe chiarire il concetto.

\epsfig{file=diversita.eps,width=\linewidth}

Una dei pattern più evidenti in natura è la relazione fra diversità locale e diversità regionale. Ma non è ancora certo se la diversità locale rappresenterebbe una frazione costante della diversità regionale, o se, a livello locale entrano in gioco fattori biotici (come la competizione, la predazione) o fattori abiotici (come il disturbo) che abbassano asintoticamente la diversità locale.

\epsfig{file=regional.eps,width=\linewidth}

Un altro dei pattern più noti è quello che lega la biodiversità alla latitudine. Dai poli all'equatore si osserva un aumento del numero di specie, generi e famiglie. Non mancano però alcune eccezioni come i deserti che sono meno ricchi di specie.

Possibili spiegazioni:

Per nessuna di queste tre spiegazioni però esistono evidenze incontrovertibili, sebbene tutte tre siano plausibili.

Vi sono alcune evidenze la biodiversità aumenti all'aumentare della produttività del sistema in quanto una maggior quantità di energia permetterebbe:

Altri effetti sulla diversità molto noti e studiati sono l'effetto:

È anche noto come il disturbo ambientale possa influire pesantemente sulla diversità in specie di una comunità.

Il disturbo risetterebbe la successione, riportando la comunità ad uno stadio caratterizzato da poche specie pioniere, alle quali, man mano che il temp passa, subentrerebbero specie nuove, migliori competitori che, se il tempo fosse sufficiente, escluderebbero le specie pioniere.

Una frequenza intermedia di disturbo eviterebbe che la competizione diventi la forza predominante portando all'escluzione di molte specie e manterebbe un flusso continuo di specie colonizzatrici che aumenterebbe la diversità della comunità.

\epsfig{file=disturbo.eps,height=8cm,width=12cm}

Diversità e funzioni ecosistemiche

In questa lezione esamineremo la diversità come variabile indipendente e vedremo come possa influenzare in modo significativo importanti caratteristiche e funzioni degli ecosistemi come la stabilità, la resilienza, la produzione, la biomassa, la ritenzione dei nutrienti, ecc.

Argomenti come questi, se confermati nella loro generalità, offrirebbero un valido argomento, fondato scientificamente, ai conservazionisti: ``la biodiversità è un bene prezioso e va conservato perché fa funzionare meglio la comunità e garantisce l'efficacia dei servizi svolti all'umanità dagli ecosistemi naturali''. In una recente review su questo argomento apparsa su Oecologia 2000 122:297-305 gli autori sostengono che, affinche` gli argomenti a favore dei conservazionisti siano validi, occorre dimostrare che le funzioni ecosistemiche dipendono da due condizioni non completamente dimostrate:

1.
i processi ecosistemici devono dipendere da una gamma di specie molto ampia (non da una o poche specie presenti);
2.
queste specie devono essere specie native locali e non specie esotiche.

Il valore conservazionistico della diversià dipende dal tipo di relazione fra biodiversità e funzioni ecosistemiche:

\epsfig{file=diversity-function.eps,width=\linewidth}

In realtà la relazione non è nè universalmente positiva nè sempre di Tipo A o di Tipo B, ma i dati raccolti fino ad ora dimostrano come essa vari nel tempo e nello spazio (e probabilmente anche in funzione del tipo di funzione ecosistemica studiata). Alcuni autori, per esempio, sostengono che la diversità non è un buon predittore della produttività primaria ma è più importante l' identità delle specie di piante dominanti.

Una curva di Tipo B implica che nella comunità esiste un certo grado di ridondanza: cioè vi sono specie che svolgono un ruolo simile o ridondante nella comunità. La perdita di una specie ridondante non causerebbe particolari danni alla funzione ecosistemica studiata.



Al concetto di ridondanza è in un certo senso contrapposto il concetto di specie chiave (keystone species): cioè di quelle specie (spesso predatori) che svolgono un ruolo importante nel mantenere la struttura della comunità. Se, per un certo motivo, una specie chiave viene a mancare, la struttura della comunità cambia drasticamente (e quindi anche le funzioni ecosistemiche). Il classico esempio di specie chiave è quello della stella marina (genere Pisaster) nelle comunità intertidali dove, nel caso vengano rimosse, i mitili diventano dominanti a discapito delle altre specie animali e vegetali (es: molluschi e balani).



Un altro concetto importante da questo punto di vista è il concetto di gruppo funzionale: il gruppo funzionale è un gruppo di specie che svolgono più o meno la stessa funzione o hanno lo stesso ruolo nell'ecosistema o ``si comportano allo stesso modo''. Questo concetto, se da un lato ha l'ovvio vantaggio di semplificare sostanzialmente la complessità del sistema, dall'altro, nel raggruppare specie sminuisce il valore della diversità e può nascondere fluttuazioni di singole popolazioni che possono essere rilevanti.

Cerchiamo ora di capire perchè la diversità ha spesso un effetto positivo sulle funzioni ecosistemiche. Questo è un argomento essenzialmente teorico ancora piuttosto dibattuto fra gli ecologi.

Partiamo dal concetto che la diversità ha un effetto stabilizzante sulla comunità. Un modo per misurare la stabilità (o il suo contrario: la variabilità) è il coefficiente di variazione (CV) della biomassa (o di altri parametri) della comunità. Cioè, semplicemente si misura la biomassa a diversi intervalli temporali, se ne calcola la deviazione standard e si divide per la media. Uno dei risultati ricorrenti, anche se non universale è che esiste una relazione negativa fra diversità e CV.

\epsfig{file=stability.eps,height=10cm}

Un esempio tratto da un famoso caso reale riguarda la risposta alla siccità che possiamo semplificare nella seguente figura da cui risulta evidente che nel plot con una maggiore diversità la risposta media della comunità risulta più attenuata.

\epsfig{file=drought.eps,width=\linewidth}

Risulta quindi chiaro che vi sono alcuni elementi essenziali per la stabilità del sistema:

Questa situazione viene chiamata ``portfolio effect'' per analogia con i fondi di investimento in borsa: più sono diversificati, maggiore la stabilità del fondo.

Un aumento del numero di specie semplicemente aumenterebbe la probabilità che nella comunità ci sia una specie che si comporti diversamente dalle altre e attenui la risposta della comunità.



Anche il ruolo della competizione sarebbe importante in quanto essa è una delle cause principali di correlazione negativa nella dinamica di due specie.

Gli articoli più recenti riportano però una dipendenza delle funzioni ecositemiche, non tanto dalla ricchezza in specie, quanto dalla diversità in gruppi funzionali (es: leguminose, piante C3, piante C4, arbusti, piante erbacee) o in alla presenza di specifici gruppi funzionali.


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Stefano Leonardi
2000-08-28